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612 bis, divieto di avvicinamento e diritti dell'indagato

612 bis, divieto di avvicinamento e diritti dell'indagato

"Atti persecutori” e divieto di avvicinamento alla persona offesa.
 I diritti dell’imputato e la salvaguardia della sua libertà di movimento.


1. Il quadro legislativo sostanziale.

L’ordinamento penale italiano ha previsto all’art. 612 bis il reato di atti persecutori.
Tale norma punisce chi "con condotte reiterate, minaccia o molesta taluno in modo da cagionare un perdurante stato di ansia o di paura ovvero da ingenerare un fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva ovvero da costringere lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita”.
Il secondo comma della norma prevede, poi, un aumento di pena se il fatto è commesso dal coniuge, anche separato o divorziato, o da persona che è stata legata da relazione affettiva alla persona offesa ovvero se il fatto è commesso attraverso strumenti informatici o telematici.

Le norme sono inserite nel titolo XII del codice – delitti contro la persona- sezione III, ossia "dei delitti contro la libertà morale” .

Questa collocazione è frutto inizialmente del dl. n. 91/2009 che per l’appunto introdusse nel nostro ordinamento il reato di "atti persecutori”, prevedendo tre elementi tipici del reato :
a) La condotta tipica del reo (stalker è un termine anglosassone per indicare che affligge un’altra persona perseguitandola, generandone paura ed ansia ed inducendola a modificare le abitudini di vita quotidiana).
b) La reiterazione della stessa;
c) L’insorgere di un particolare stato di animo nella vittima o la causazione di modificazioni delle sue abitudini di vita.

 La introduzione del secondo comma, così come oggi è formulato, è frutto della novella introdotta con il d.l. n. 93/2013 convertito con modifiche dalla legge n.119 del 15.10.2013.
Tale novella intese prevedere il reato anche tra coniugi non ancora separati, prevedere l’aggravamento di pena nel caso di utilizzo di strumenti informatici o telematici nonché introdurre il principio della irrevocabilità della querela.

2. Le misure cautelari applicabili in caso di 612 bis.

Sempre il d.l. n. 93/13 poi convertito nella legge n. 119/2013 ha introdotto importanti modifiche in tema di arresto in flagranza per il reato di atti persecutori e di misure cautelari applicabili all’indagato.
L’art. 2 co. 1 lett. c) del decreto ha modificato l’art. 380 c.p.p. ed inserito nel catalogo dei delitti che prevedono l’arresto obbligatorio in flagranza dell’autore del reato, anche il reato di atti persecutori previsti dall’art. 612 bis c.p., oltre che  dell’autore del reato di maltrattamenti (art. 572 c.p.).  
Inoltre, la stessa legge 119/2013 ha introdotto nel codice di rito penale l’art. 384bis c.p.p. che prescrive la possibilità dell’ ”allontanamento d’ urgenza dalla casa familiare”.
Tale articolo prevede la possibilità che gli ufficiali ed agenti giudiziari possano disporre l’allontanamento urgente dalla casa familiare con il divieto di avvicinarsi ai luoghi frequentati dalla persona offesa, nei confronti di chi sia colto in flagranza dei delitti di cui  all’art. 282 bis sesto comma ( tra i quali è previsto l’art. 612 bis c.p. secondo comma ).
L’allontanamento d’urgenza è possibile purchè il PM competente disponga autorizzazione scritta o solo verbale mapoi confermata per iscritto e ove sussistano fondati motivi per ritenere che le condotte criminose possano essere reiterate ponendo in grave ed attuale pericolo la vita o l’integrità fisica o psichica della persona offesa. 
La norma che invece prevede, quale misura cautelare, l’allontanamento della casa familiare è quella dell’art. 282 bis c.p.p. introdotta nel nostro ordinamento dalla legge n. 154 del 2001.
Il disposto di tale norma prevede che "il Giudice” prescriva all’imputato di lasciare immediatamente la casa familiare ovvero di non farvi rientro, e di non accedervi senza l’autorizzazione del Giudice che procede.
Il Giudice può anche autorizzare il rientro con determinate modalità di visita.
Il secondo comma di detta norma poi prevede una ulteriore misura cautelare e cioè quella del "divieto di avvicinamento ai luoghi abitualmente frequentati dalla persona offesa, in particolare il luogo di lavoro, il domicilio della famiglia di origine o dei prossimi congiunti”.
 Il Giudice può disporre comunque la frequentazione dei luoghi ove si trova la persona offesa, se la stessa è necessaria per motivi di lavoro da parte dell’imputato: in tale caso però il Giudice prescrive le relative modalità e può imporre limitazioni al fine di contemperare le esigenze lavorative dell’imputato con le  cautele a favore della persona offesa.
L’art. 282 ter c.p.p.. prevede poi che con il provvedimento che dispone il divieto di avvicinamentoil giudice prescrive all’imputato di non avvicinarsi a luoghi determinate abitualmente frequentati dalla persona offesa ovvero di mantenere una determinate distanza da tali luoghi o dalla persona offesa.
Nella ipotesi in cui, sussistano ulteriori esigenze di tutela, il giudice può prescrivere all’imputato di non avvicinarsi a luoghi determinati abitualmente frequentati da prossimi congiunti della persona offesa o da persone con questa conviventi o comunque legate da una relazione affettiva ovvero di mantenere una determinata distanza da tali luoghi ( art. 283 ter secondo comma).
Il Giudice può inoltre vietare all’imputato di comunicare con qualsiasi mezzo con la persona offesa o i suoi prossimi congiunti.

3. Focus. Il Divieto di avvicinamento alla persona offesa o ai luoghi  frequentati dalla persona offesa. La Giurisprudenza della Cassazione.

E’ frequente nelle ordinanze cautelari la molteplice previsione di non avvicinarsi alla abitazione ed ai luoghi frequentati dalla persona offesa, nconchè quella di non avvicinarsi a meno di 500 metri da tali luoghi  nonché dalla persona offesa e dai suoi prossimi congiunti ovunque si trovino! 
Tale ultima previsione fa sorgere alcune problematiche assai notevoli quanto al criterio da seguire per valutare l’esatta osservanza della prescrizione cautelare.
Infatti se si intende che l’imputato non può avvicinarsi a meno di 500 metri dalla abitazione, o dal luogo di lavoro o di ritrovo della persona offesa questo è un dato identificabile in maniera determinata.
Se invece si deve intende  che l’imputato non può avvicinarsi a meno di 500 metri dalla persona offesa, ovunque la stessa si trovi,  questa diventa una circostanza variabile e assoggettabile spesso al caso e non alla volontà dell’imputato. 
Sul punto la Giurisprudenza della Suprema Corte sembra orientarsi in maniera differente in alcune decisioni anche se, per la verità ribadisce che il "caso concreto” e le "effettive esigenze di tutela” devono rappresentare gli imprescindibili punti di riferimento per orientare l’interprete.
In una prima fase la Cassazione aveva stabilito che è la persona offesa il riferimento centrale del divieto di avvicinamento e quindi ad essa e non solo ai luoghi dalla stessa frequentati deve farsi riferimento  per precisare la "determinatezza” del divieto.
In tal senso Cass. Sez. V, 27/02/2013 n. 14297 afferma : " In tema di applicazione della misura coercitiva del divieto di avvicinamento, laddove ricorra il reato di cui all’art. 612 bis c.p. e la condotta oggetto della temuta reiterazione abbia i connotati della persistente ed invasiva ricerca di contatto con la vittima in qualsiasi luogo in cui la stessa si trovi, è prevista la possibilità di individuare anche la stessa persona offesa, e non solo i luoghi da essa frequentati, come riferimento del divieto di avvicinamento. In tal caso, pertanto, diviene irrilevante l’individuazione di luoghi di abituale frequentazione della vittima, atteso che dimensione essenziale della misura è invero il divieto di avvicinamento alla persona offesa nel corso della sua vita quotidiana ovunque essa si svolga”.
In forza di tale indirizzo il divieto di avvicinamento "a distanza” deve tener conto degli spostamenti della persona a prescindere dai luoghi abitualmente frequentati.
E’ evidente allora  che il grado di afflittività di una misura da interpretarsi in maniera così ampia dipende dalla quantità dei luoghi frequentati dalla persona offesa e dalla variabilità degli stessi, con la conseguenza che la libertà di circolazione del destinatario della misura viene oltremodo compressa e rischia di essere abbondantemente "sovradimensionata” rispetto al bisogno di prevenzione. 
In tal caso il destinatario avrebbe più possibilità di incorrere, anche inconsapevolmente, in una violazione delle prescrizioni  con la correlata possibilità del trattamento restrittivo ex art. 276 c.p.p..
In seguito la Suprema Corte ha meglio specificato l’essenza ed i contenuti di tale divieto.
Infatti in pronunce successive è stato innanzitutto  ribadito che la stessa Corte di Cassazione ha reiteratamente affermato il principio secondo cui l’ordinanza che dispone, ex art. 282 ter c.p.p., il divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa deve, a pena di illegittimità, determinare specificatamente detti luoghi oggetto del divieto, poiché il soggetto sottoposto alla misura non può preventivamente conoscere i luoghi ai quali gli è inibito l’accesso in via assoluta, in quanto frequentati dalla persona offesa, con la necessità che detti luoghi siano specificatamente indicati, poiché solo in tal modo il provvedimento cautelare  assume una conformazione completa che consente il controllo dell’osservanza delle prescrizioni funzionali al tipo di tutela che la legge intende assicurare, "evitando l’imposizione all’indagato di una condotta di non facere indeterminata rispetto ai luoghi, la cui individuazione finirebbe per essere di fatto rimessa alla persona offesa”. (Cass. Sez. V 26/5/2015 n. 28225; Cass. Sez. VI sentenza n 8333 del 22/01/2015, Cass. Sez. V sentenza n. 5664 del 10/12/2014, Cass. Sez. VI del 19/07/2016 n. 30926).
L’orientamento ultimo (Cass. 30926 del 27.2.2016) ritiene di porre sempre come primario obiettivo della misura del divieto di avvicinamento, quello di garantire la libertà di movimento e di relazioni sociali della persona offesa da possibili intrusioni dell’indagato, che, facendo temere la vittima per la propria incolumità, finiscano per condizionare e pregiudicare la fruizione di dette libertà.
La detta sentenza sembra prevedere, nella parte argomentativa,  due situazioni distinte:
1) Una più lieve tutelabile con la previsione dell’art. 282 bis c.p.p. e quindi attraverso l’allontanamento dai luoghi frequentati dalla persona offesa o prossimi congiunti;
2) L’altra più grave, nella ipotesi di temuta reiterazione di una condotta particolarmente persistente ed invasiva, tutelabile solo attraverso un tenuta a distanza dell’imputato dalla persona offesa.  
In riferimento al thema in discussione la sentenza da un lato ritiene di prediligere sempre la tutela della persona offesa rispetto alle esigenza dell’imputato.
Tuttavia apre due spiragli : uno con riferimento alla prevista tutela delle esigenze lavorative dell’imputato (disciplinate espressamente dall’art. 282  ter comma 4), l’altro con il richiamo alla proporzionalità ed alla adeguatezza di ogni misura che deve comunque perseguire finalità concrete di tutela rapportabili al caso specifico.

4. Conclusioni. Necessità di rispettare il diritto di movimento dell’indagato.

Le pronunce citate privilegiano essenzialmente la necessità di sicurezza della persona offesa .
A fronte di tali esigenze vi è però il diritto dell’imputato, o meglio ancora indagato, a non vedere limitare la propria libertà morale e fisica oltre il limite previsto da effettive esigenze di tutela.
Deve infatti sottolinearsi come :
1) L’indagato cui viene applicata la misura del divieto di  avvicinamento  previsto dall’art. 282 ter c.p.p. ha avuto una condotta non suscettibile, a parere del Giudice, di applicazione di misure cautelari intra moenia ( Custodia in carcere o custodia domiciliare) e quindi non particolarmente grave.
2) Al momento dell’applicazione della misura è stata prospettata, quasi nella maggior parte dei casi, la sola tesi accusatoria;
3) Laddove l’indagato abbia assunto condotte prevaricanti nei confronti della persona offesa ha diritto a poter frequentare in maniera regolare altre persone con le quali intrattiene rapporti senza vedersi oltremodo compresso in tale diritto;
4) L’indagato conserva comunque la sua libertà di movimento che non può essere compressa oltre il dovuto al punto di non dover uscire dalla sua abitazione  per il pericolo di incontrare la persona offesa :
5) Il principio di minima lesività della misura de libertate impone che i vincoli cui può essere assoggettato l’imputato sono solo quelli strettamente necessari a contenere i pericoli generati dal suo comportamento.
Queste considerazioni inducono a ritenere che chi è sottoposto a misure cautelari previste dagli artt. 282 bis e 282 ter c.p.p. abbia innanzitutto, il diritto di ricevere una effettiva e determinata indicazione dei luoghi ove gli è inibito l’accesso per la tutela della persona offesa.
Inoltre il divieto di avvicinamento "a distanza” alla persona offesa, non può prevedere quelle situazioni casuali che possono generarsi nella vita quotidiana a causa di frequentazione di luoghi pubblici.
 Tantomeno possono tollerarsi quelle situazioni nelle quali sia la persona offesa a frequentare luoghi ove è probabile la presenza dell’indagato: da ciò ne discende che anche la persona offesa dovrebbe, a mio parere, essere avvista della necessità di non recarsi in luoghi ove è possibile la presenza della persona denunciata.
Infine nella ipotesi di aggravamento sarebbe necessario (ma questa è una vexata questio risolta ahimè in maniera negativa dalla Suprema Corte) l’interrogatorio dell’indagato al fine di approfondire i reali motivi della violazione della prescrizione e scandagliare effettivamente se in tale comportamento ricorre l’elemento psicologico volto a perpetrare comportamenti persecutori o se invero le finalità erano diverse da quelle della volontà di reiterare condotte illecite.
Come sempre, la specificità del caso concreto, la personalità dell’indagato e della persona offesa e ogni altra circostanza utile possono aiutare l’interprete in tale periglioso scandaglio dei comportamenti umani penalmente valutabili.

Avv Filippo Castellaneta  

Articolo scritto da: avv. Filippo Castellaneta il 25/12/2018
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