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Il difensore persuade anche attraverso la cross examination

Il difensore persuade anche attraverso la cross examination

Il difensore persuade anche  attraverso la cross examination.

 Cicerone ed i grandi retori dell’antichità stabilivano che compito dell’oratore è la persuasione in materia etico-politico-sociale, e ciò avveniva nei tre generi di cause: dimostrativo, deliberativo, e giudiziale.

Il settore "giudiziale” comportava, sin da allora, l’accusa e la difesa.

L’oratore, ossia l’avvocato difensore che aveva il compito di persuadere, con l‘orazione finale, i giudici e per fare questo, in sintesi, doveva:
a) Ricercare idee e argomenti (inventio);
b) Disporre in maniera ordinata gli argomenti del discorso (dispositio) attraverso parti programmate quali l’esordio, la narrazione, la dimostrazione e l’epigolo;
c) Persuadere, attraverso l’eloquenza (elocutio) e utilizzando figure retoriche ( quali la metafora), artifici retorici ( tono della voce, pause), tecniche di amplificazione (ad esempio ripetizione di parole), tecniche di coinvolgimento (invettiva, invocazione).

Insegnamento imperituro tuttora valido.

Quanto sopra indicatoci da Cicerone, Quintiliano e dai retori greci è ancora perfettamente in linea sia con quel processo penale che aveva la arringa del difensore quale momento finale e determinante per la strategia difensiva e per le sorti del patrocinato, sia per quel  processo accusatorio (attualmente in vigore) lì dove le conclusioni delle parti private rappresentano la sintesi  di quanto desumibile dalla istruttoria dibattimentale e rappresentano comunque il momento in cui dinanzi al giudice si riassumono le "ragioni” della difesa (e dell’accusa) e si evidenzino gli aspetti favorevoli alla propria tesi difensiva (o accusatoria).

Ma le strategie di persuasione, con il nuovo codice, devono necessariamente regredire ad un momento precedente a quello dell’arringa finale.
Infatti, il codice del 1988 ha avuto il pregio di esaltare un momento della istruttoria dibattimentale che in precedenza era soltanto lasciato alla iniziativa  del giudice.
L’esame dei testimoni, con la vigenza del codice Rocco, era condotto dal Pretore o dal presidente di collegio e solo  al termine della sequela di domande (molto spesso suggestive e inquisitorie a seconda dell’atteggiamento del giudicante nei confronti dell’imputato) poste dal Giudice, veniva infine lasciata al difensore  la possibilità di porre qualche domanda al teste.
Tale attività veniva svolta dall’avvocato allorchè il Giudice aveva già ampiamente arato il terreno delle conoscenze del teste e  di converso rimaneva poco spazio al difensore per poter porre domande "importanti” o "determinanti” ai fini del convincimento del Giudice.

Con il codice del 1988 lo scenario è mutato.
L’art. 498 c.p.p. ora dispone che "Le domande sono rivolte  direttamente dal pubblico ministero o dal difensore che ha chiesto l’esame del testimone. 
Successivamente altre domande possono essere rivolte dalle parti che non hanno chiesto l’esame del testimone”.

Come abbiamo già scritto l’ esame incrociato, rappresenta, per gli avvocati penalisti,  una  tra le più importanti rivoluzioni di ruolo e di funzioni che il nuovo codice di procedura penale ha introdotto.

Nella prassi, in passato, prima del 1989,  era il Giudice a rivolgere direttamente le domande al teste e solo al termine del suo "interrogatorio”  chiedeva al difensore se voleva rivolgere anch’egli delle domande, ma costui, per "non intralciare i lavori”, spesso si asteneva  "prudentemente” dall’esercitare tale sua facoltà.

Oggi, invece, il difensore è il propulsore ed il protagonista nella assunzione della prova orale: sceglie e cita i testi a discarico, conduce l’ esame ed il  controesame,   ed inoltre  deve curare di preparare una scaletta per far emergere quello che è il suo  "thema probandi”, deve essere pronto ad opporsi a domande suggestive nel corso dell’esame, deve curare gli aspetti psicologici della testimonianza, deve opporsi alla forza d’urto dell’art. 507, deve essere pronto a far dichiarare un teste ostile e svolgere tante altre attività che hanno grande rilievo in vista dell’obiettivo di trovare argomenti a favore della tesi difensiva. 
Insomma il momento "topico” del dibattimento è quello in cui si procede alla assunzione di testimonianze orali: e qui che si gettano le basi di una assoluzione o si creano i presupposti per una condanna.

Ed allora, la persuasione del Giudice ad opera del difensore, deve iniziare dal far dire ad un testimone quello che il difensore vuole che egli dica nell’interesse dell’assistito.

Il difensore deve, attraverso l’esame ed il controesame, iniziare a inviare messaggi persuasivi al giudicante.
Il difensore deve fare in modo che al Giudicante arrivino una o più risposte del teste esaminato o controesaminato, che siano in linea con la strategia difensiva già decisa a tavolino.

 Pertanto, come suggeriscono gli autori che si occupano di cross examination, l’avvocato deve smantellare le prove a carico, addurre credibili prove a discarico, insinuare il ragionevole dubbio dimostrando che è insufficiente la prova sul fatto o sull’essere stato commesso dall’imputato.

L’arte di persuadere il giudicante e convincerlo della attendibilità  della nostra tesi, deve essere adoperata sin dal momento della formazione dialettica della prova.

L’avvocato che interroga, attende la risposta del teste per sé, certo, per efficacemente proseguire nella scaletta delle domande, ma attende la risposta anche e soprattutto perché entri nel bagaglio di conoscenze processuali di  quel soggetto del processo che ascolta i testimoni, dirige il dibattimento ed emetterà la sentenza .Ossia il Giudice.

Se dunque la fase della formazione della prova è strumentale al condizionamento del Giudice, lo sviluppo di essa deve tendere a convincere e persuadere il Giudicante.

Come ha efficacemente sintetizzato Carponi Schittar nel capitolo 37 del suo testo "La Persuasione del Giudice” (Giuffrè editore anno 1998): "l’esigenza di estrarre dall’interrogato tutto quanto può interessare e riuscire utile a chi lo esamina ( e nulla più) e l’esigenza di trasmettere al giudice informazioni convincenti a sostegno della versione dei fatti e delle tesi che si difende nel processo”.
  
            In conclusione :
1) Le strategie di persuasione sono necessario bagaglio dell’avvocato penalista;
2) L’azione persuasiva si esercita per tutto il corso del processo e soprattutto nella fase di assunzione dialettica della prova e nella fase di formulazione e illustrazione delle conclusioni finali a sensi dell’art. 523 c.p.p. 
3) Nella fase della discussione finale il difensore ribadirà i messaggi condizionanti già esposti in aula attraverso gli strumenti probatori adoperati, e concluderà cercando di persuadere il Giudice in ordine alla piena credibilità della tesi o della antitesi sostenuta.

Avv. Filippo Castellaneta 

Articolo scritto da: avv. Filippo Castellaneta il 06/09/2019
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