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Connessioni tra fenomeno migratorio e criminalità organizzata . Dott.ssa Di Girolamo Anita

Connessioni tra fenomeno migratorio e criminalità organizzata . Dott.ssa Di Girolamo Anita

Connessioni tra fenomeno migratorio e criminalita’ organizzata
 Autrice : dott.ssa Digirolamo Anita.

INDICE
ABSTRACT 1
INTRODUZIONE 2

Primo Capitolo:
IL FENOMENO DELL'IMMIGRAZIONE CLANDESTINA IN ITALIA
1. Generalità 4
2. Premesse Terminologiche: immigrazione legale, illegale e tratta 5
3. L’evoluzione della normativa Italiana sull’immigrazione 7
4. Le misure di contrasto all’illegalità 10
5. Andamento dei flussi 15

Secondo Capitolo:
LA CRIMINALITA' ORGANIZZATA
1. La criminalità organizzata Italiana 19
2. Le organizzazioni criminali autoctone 21
3. Le organizzazioni criminali allogene 24

Terzo Capitolo:
CONNESSIONI TRA IMMIGRAZIONE CLANDESTINA E CRIMINALITA' RGANIZZATA
1. Premesse: connessioni tra immigrazione clandestina e criminalità organizzata 31
2. Modus operandi delle organizzazioni criminali nel traffico di immigrati:
 il modello cinese……………….. 33
3. La tratta di persone 34
4. Lo sfruttamento della prostituzione 36
4.1. La prostituzione minorile 40


CONCLUSIONE 45


ABSTRACT

Da più di 15 anni l’Europa è destinataria di notevoli flussi migratori provenienti dall’Est Europeo, dall’Asia e dall’Africa. Questo fenomeno interessa molto l’Italia perché meta abita dai clandestini sia per la sua collocazione geografica nel Mediterraneo, sia per le caratteristiche dei confini nazionali che ne rendono complessa una corretta e costante supervisione.
In forza di ciò, la criminalità organizzata autoctona ha deciso di investire molto in questo mercato strutturandosi come una vera e propria società di servizi in grado di garantire il viaggio verso il paese desiderato. Ma non solo, la criminalità organizzata locale per aumentare i proventi derivanti da queste attività illecite ha tessuto un rete di collegamenti con le principali criminalità organizzate straniere ( come quella cinese, albanese e russa).
Lo scopo di questo lavoro di tesi è quello di analizzare:
• il fenomeno migratorio sia nella veste di migrazione legale che in quella di immigrazione clandestina o della tratta di persone (la c.d. migrazione illegale);
• la normativa italiana e comunitaria sul fenomeno: punti di forza e limiti;
• la gestione del fenomeno migratorio illegale ad opera delle organizzazioni criminali autoctone;
• i rapporti che le organizzazioni criminali locali hanno intrecciato con quelle straniere per trarre maggiori proventi dall’immigrazione e dalla tratta di persone (la c.d. internazionalizzazione delle organizzazioni criminali);
• la tratta delle donne a scopo di sfruttamento sessuale;
• possibile linee di politica criminale da adottare per soffocare il fenomeno.
 
INTRODUZIONE

La storia dell’umanità è costellata di migrazioni. Da sempre le persone si spostano alla ricerca di migliori opportunità. Da sempre, il fenomeno migratorio genera opinioni positive o negative circa i suoi effetti nella società ospitante. Da anni i paesi occidentali rispondono con la chiusura delle loro frontiere, ma questa soluzione ha avuto come unico effetto l’aumento del numero di immigrati clandestini, rendendone un fenomeno molto più complesso che spesso si configura come traffico di esseri umani.
La complessità del fenomeno migratorio nei paesi occidentali, è data dal doppio binario su cui si muove: da un lato vi sono le migrazioni regolari, dall’altro le migrazioni irregolari.
In quest’ultimo caso la complessità non si esaurisce nella difficoltà di quantificare il fenomeno, ma nel definire ciò che sta dietro l’immigrazione clandestina, cioè un vero e proprio mercato illecito gestito da organizzazioni criminali straniere, in cui le merci sono gli esseri umani.
Nonostante le politiche restrittive dei paesi di destinazione, i migranti non hanno rinunciato al desiderio di una vita migliore, hanno piuttosto trovato dei modi alternativi a quelli regolari, per poter aggirare tali politiche. In ciò hanno trovato degli interlocutori senza scrupoli, organizzazioni criminali transnazionali e mafie, che si sono specializzati nell’ingresso illegale delle persone nei paesi occidentali, ed hanno offerto ai migranti i loro servizi in cambio di denaro.
Queste organizzazioni criminali soprattutto di matrice etnica si occupano di ogni fase dell’ingresso illegale dei migranti e del traffico di esseri umani. Generalmente le organizzazioni trafficano propri connazionali, reclutati con l’inganno o con la violenza, da sfruttare soprattutto nei lucrativi mercati dello sfruttamento della prostituzione e del lavoro nero.
Sono fenomeni che, date le innumerevoli normative internazionali e nazionali contro le mafie, le organizzazioni criminali, le schiavitù e il traffico di esseri umani, non dovrebbero esistere, soprattutto nei paesi occidentali “civilizzati”.
Invece la schiavitù esiste anche nelle società occidentali e i nuovi schiavi sono gli immigrati, soprattutto i clandestini, che costano poco e generano alti profitti.
L’Italia in tutto ciò, per la sua collocazione geografica, è diventata uno snodo del traffico di persone, dove operano organizzazioni criminali albanesi, nigeriane, cinesi, magrebine ed est europee, specializzatesi nel traffico e nella tratta di connazionali sul nostro territorio, nonostante le organizzazioni mafiose autoctone (cosa nostra, ‘ndrangheta, camorra e sacra corona unita) continuino ad avere un ruolo primario nello scenario criminale, soprattutto in determinati settori illeciti in cui la penetrazione di sodalizi stranieri non è permessa (traffico di stupefacenti, appalti pubblici, etc.).
Visto il ruolo attivo rivestito dall’Italia, scopo di questo elaborato è quello di analizzare il cammino normativo che, in materia di immgrazione clandestina, ci ha interessato, partendo dalla legge Martelli, fino a giungere all’ultimo provvedimento (il c.d. pacchetto sicurezza).
Successivamente verrà analizzato il fenomeno della criminalità organizzata e delle attività ad essa connesse, analizzando le strutture criminali autoctone ed allogene insediate nel nostro territorio.
Infine, dopo aver introdotto il fenomeno delle nuove schiavitù verrà analizzato nel dettaglio lo sfruttamento della prostituzione, altra grave piaga in forte espansione sul nostro territorio.

 
CAPITOLO 1:
IL FENOMENO DELL’IMMIGRAZIONE IN ITALIA

Sommario: 1.1. Generalità; 1.2. Premesse terminologiche: Immigrazione legale, illegale e tratta; 1.3. L’evoluzione della normativa Italiana sull’immigrazione; 1.4. le misure di contrasto all’illegalità; 1,5. Andamento dei flussi.

1.1. Generalità.
Dagli inizi degli anni 90, l’immigrazione è divenuta un processo "globale" che, provocato da fattori demografici, socio-economici e politici, sta caratterizzando e caratterizzerà in maniera considerevole le condizioni di vita nei paesi maggiormente industrializzati.
Il bacino del Mediterraneo appare particolarmente esemplificativo per comprendere la complessità del fenomeno dell’immigrazione ed i meccanismi che regolano le migrazioni di transito.
Nello specifico, l’Africa e l’Europa sono strettamente interconnesse dai flussi migratori nel loro complesso, sia per ragioni di prossimità geografica, sia per i rilevanti divari socio-economici che permangono tra i due continenti. Secondo i dati dell’United Nations Development Program  (Undp), infatti, 15 dei 20 paesi più sviluppati al mondo si trovano in Europa, mentre i 20 paesi meno sviluppati sono in Africa, di cui più della metà nell’Africa occidentale.
Con il termine "immigrazione", infatti, si definisce ogni movimento migratorio internazionale, individuale o di massa, originato da 2 categorie di fattori:
• i fattori di espulsione (c.d. Push factors);
• i fattori di attrazione (c.d. Pull factors).
Tra i principali fattori di attrazione possiamo indicare i motivi economici, di studio, di lavoro e familiari; tra quelli di espulsione, invece, possiamo menzionare la povertà dei paesi del c.d. “Terzo Mondo” o l’intento di sfuggire da situazioni di persecuzione, conflitti, catastrofi naturali ed eventi rivoluzionari.
Flussi di persone, calcolati nell’ordine dei 15 milioni, si spostano ogni anno nei diversi continenti, principalmente dal centro e dal sud America verso gli Stati Uniti e il Canada e dall’Africa, dall’Asia e dai Paesi ex comunisti verso l’Europa .
Anche l’Italia, tradizionale Paese di emigrazione, a partire dalla seconda metà degli anni 80 ha visto aumentare in maniera esponenziale il numero degli ingressi di cittadini stranieri (immigrati per ragioni di lavoro, rifugiati, profughi di guerra e loro familiari, ecc.). Sono 4.570.317 gli stranieri residenti in Italia al 1° gennaio 2011, 335 mila in più rispetto all'anno precedente (+7,9%) .
Il nostro Paese, infatti, che per la sua posizione geografica rappresenta uno dei punti di ingresso in Europa, soprattutto per la migrazione africana, si conferma come meta privilegiata di flussi provenienti dall’insieme dei paesi c.d. "a forte pressione migratoria"  che comprendono i paesi dell’Europa centro-orientale, dell’Africa, dell’Asia (ad eccezione di Israele e Giappone) e dell’America centro-meridionale. Questo è dovuto anche alle caratteristiche delle nostre coste che ne rendono complessa una corretta e costante supervisione.
Tra le presenze sopra indicate, particolare rilievo assumono, per la loro intensità, gli ingressi di "rifugiati socio-economici" (che sfuggono cioè da intollerabili situazioni di sottosviluppo e crisi socio-economica) come gli albanesi e di displaced persons (persone che lasciano i loro paesi devastati da conflitti e guerre civili), provenienti prima dalla ex Jugoslavia e, più recentemente, dal Kurdistan e dal Kosovo.
Tale fenomeno ha raggiunto oramai dimensioni allarmanti, provocando nel Paese gravi ripercussioni sociali, economiche, sanitarie e, per quel che più ci interessa in questa sede, di pubblica sicurezza.
 
1.2. Premesse terminologiche: Immigrazione legale, illegale e tratta.
Generalmente, si è soliti operare una distinzione tra immigrazione legale, illegale e clandestina.
Sono considerati immigrati legali, e quindi regolari, tutti i cittadini stranieri il cui ingresso e la cui permanenza nel territorio dello Stato avvengono nel rispetto delle condizioni di legge, ovvero:
• in possesso di passaporto valido o documento equipollente e del visto d’ingresso, salvo i casi di esenzione;
• muniti di permesso di soggiorno o di carta di soggiorno, rilasciati a norma di legge o in possesso di permesso o titolo equipollente rilasciato dalla competente autorità di uno Stato appartenente all’Unione europea, nei limiti ed alle condizioni previsti da specifici accordi.
La regolarizzazione può avvenire anche a distanza di tempo dall’ingresso nel territorio dello Stato, magari dopo un periodo vissuto in condizione di "irregolarità", a seguito delle c.d. "sanatorie" concesse ex legge.
Passiamo ora ad analizzare il fenomeno dell’immigrazione illegale o irregolare.
Essa non va confusa con l’immigrazione clandestina, sebbene apparentemente i due concetti possano sembrare coincidenti .
Possono considerarsi immigrati illegali, le seguenti categorie di persone:
• coloro che entrati con un regolare visto d’ingresso o in esenzione di visto non hanno chiesto entro il termine previsto dalla legge (otto giorni lavorativi) il permesso di soggiorno all’Autorità competente (questore della provincia in cui lo straniero si trova);
• coloro che entrati regolarmente e muniti di regolare permesso di soggiorno alla scadenza dello stesso non ne hanno richiesto il rinnovo (i c.d. Overstayers);
• coloro che, pur avendo chiesto il rinnovo del permesso di soggiorno, per assenza dei requisiti prescritti non lo hanno ottenuto;
• coloro ai quali è stato revocato il permesso di soggiorno, essendo venuti meno i requisiti che diedero luogo al rilascio;
• i richiedenti asilo, ai quali è stato negato il riconoscimento dello status di rifugiato e che non hanno ottemperato all’invito della Questura di lasciare il territorio nazionale.
Tutti gli altri, cioè gli extracomunitari che sono entrati ed entrano in Italia eludendo ogni controllo, sono da considerare immigrati clandestini in senso proprio. 
Per questo secondo gruppo di soggetti, le condizioni di inserimento sono molto più problematiche, anche perché, una volta giunti in Italia, rimangono spesso preda di organizzazioni criminali.
Le dimensioni della irregolarità e della clandestinità sono fortemente influenzate dalle politiche migratorie (soprattutto dalle sanatorie) attuate nei diversi Stati. Ecco perché si ritiene necessaria un’attenta analisi dell’evoluzione delle politiche migratorie italiane, analisi che verrà eseguita nel paragrafo seguente.
Infine, passiamo ad analizzare il fenomeno della tratta di persone che, secondo l'articolo 3 del Protocollo Aggiuntivo alla Convenzione delle Nazioni Unite di Palermo, firmato da più di 80 Stati nel dicembre 2000, con entrata in vigore nel 2004,  indica “il reclutamento, trasporto, trasferimento, l’ospitare o accogliere persone, tramite l’impiego o la minaccia di impiego della forza o di altre forme di coercizione, di rapimento, frode, inganno, abuso di potere o di una posizione di vulnerabilità o tramite il dare o ricevere somme di denaro o vantaggi per ottenere il consenso di una persona che ha l’autorità su un’altra a scopo di sfruttamento. Lo sfruttamento comprende, come minimo, lo sfruttamento della prostituzione altrui o altre forme di sfruttamento sessuale, il lavoro forzato o prestazioni forzate, schiavitù o pratiche analoghe, l’asservimento o il prelievo di organi (…)”.
La  tratta di persone si differenzia dall’immigrazione clandestina non soltanto per il trattamento giuridico ad essa riservato (la tratta, infatti, è punita con pene più severe rispetto al reato di immigrazione clandestina e di favoreggiamento della stessa) ma anche perché mentre l’immigrazione clandestina ha una dimensione internazionale, la tratta può essere un fenomeno interno ad un singolo Paese.
Inoltre, la tratta è caratterizzata da un impegno più persuasivo del soggetto criminale il quale sfrutta, utilizzando la violenza fisica e psicologica, gli esseri umani (in modo particolare donne e bambini).

1.3. L’evoluzione della normativa Italiana sull’immigrazione.
Nella macro categoria delle politiche migratorie, si possono distinguere tre tipi di intervento: le politiche di immigrazione, che stabiliscono le condizioni di ingresso e soggiorno in uno stato, nonché, di riflesso, di espulsione e allontanamento; le politiche per gli immigrati, che invece si rivolgono a quanti sono stati ammessi a risiedere sul territorio e riguardano l’accesso ai servizi e ai diritti e  le politiche per i migranti, che si riferiscono a stranieri il cui status giuridico è problematico perché entrati nel paese senza autorizzazione. Tra questi vi possono essere soggetti che non sono espellibili, come nel caso di richiedenti asilo, vittime di tratta a fini di sfruttamento sessuale e minori non accompagnati.
Il 1986 rappresenta una sorta di spartiacque nella storia della legislazione Italiana in tema di immigrazione.
Per la prima volta, viene approvata una legge, la L. 943/1986, che riconosce la presenza di lavoratori extra-comunitari nel nostro paese e che si pone come obiettivo quello di regolarne lo status giuridico e di programmarne gli ingressi.
La successiva legge n. 39/1990 (c.d. Legge Martelli) viene approvata in un momento di emergenza, determinatasi in Italia in seguito alle migrazioni di massa conseguenti agli eventi bellici nell’area balcanica. Obiettivo di questa legge era non solo rendere più stringente il processo di programmazione dei flussi di ingresso, ma anche specificare i requisiti di accesso al permesso di soggiorno e le condizioni necessarie per il rinnovo.
Inoltre, la legge Martelli ha introdotto norme specifiche in tema di respingimenti  ed espulsioni, inasprendo le sanzioni contro il favoreggiamento dell’ingresso illegale già previste dall’articolo 12 della legge n. 943/1986. Queste sanzioni sono state ulteriormente rafforzate dal decreto legge n. 489/1995, noto come decreto Dini, approvato nel contesto dell’adesione dell’Italia al trattato di Schengen.
Meno di un anno dopo l’approvazione della legge Martelli, le norme in essa contenute consentirono di mandare indietro migliaia di albanesi rifugiati , ma non furono in grado di attuare una riforma delle politiche di ammissione né una strategia di integrazione degli stranieri presenti.
Il governo eletto nel 1996 decide di operare una complessiva riforma della legislazione migratoria Italiana, questo soprattutto perché l’ Italia doveva entrare a pieno titolo nel trattato di Schengen, doveva, quindi, coordinare le proprie politiche con quelle degli stati firmatari.
La legge n. 40 del 1998, nota come Legge Turco – Napolitano, rappresenta il tentativo più organico per ristrutturare la legislazione migratoria Italiana: i clandestini rischiano l’espulsione immediata, mentre gli immigrati legali possono ottenere, dopo 5 anni di residenza, un permesso di soggiorno illimitato; possono beneficiare dell’accesso al sistema della previdenza sociale e sanitario ed all’istruzione obbligatoria.
Caratteristica della nuova disciplina sull’immigrazione è quella di aver affrontato l’argomento in modo organico e globale, coniugando una politica dell’immigrazione e una politica degli immigrati, tutto ciò inquadrando i ruoli dei diversi “livelli di Governo” e valutando la sostenibilità degli ingressi e delle permanenze e programmando i flussi .
La legge 40/1998 pone al centro della politica dell’immigrazione il Presidente del Consiglio, una politica basata sul sistema delle quote che prevede la determinazione, su base annuale, delle quote di stranieri ammissibili. La definizione delle quote, però, non è rigida in quanto è prevista la possibile emanazione di più decreti, in funzione delle fluttuazioni di domanda nel mercato del lavoro.
La programmazione operativa è attribuita a stato, regioni, province e comuni che devono predisporre programmi pluriennali ed annuali per concretizzare le proprie iniziative attraverso il Fondo nazionale per le politiche migratorie.
Anche tale legge, però, non fu esente da fallimenti.
Il principale riguarda l’obiettivo di stabilizzare la popolazione straniera, infatti,  le norme relative alla carta di soggiorno, che avrebbero dovuto sottrarre alla giostra dei continui rinnovi almeno gli stranieri residenti dal lungo periodo, si sono trasformate in circolari ministeriali che rallentavano il rilascio del nuovo documento.
Anche nel 2001, con l’avvento del nuovo Governo, l’Italia si è trovata a dover fare i conti con le proprie politiche migratorie, infatti, viene emanata la Legge 182/2002 (c.d. Bossi - Fini).
In essa è evidente un orientamento repressivo rispetto a quello dei trattati internazionali: all’immigrato, ad esempio, viene rilasciato un permesso di soggiorno di durata variabile a seconda del tipo di contratto di lavoro (e comunque non superiore a due anni) e rinnovabile; al momento del  rilascio o del rinnovo del permesso di soggiorno all’immigrato vengono rilevate le impronte digitali; la carta di soggiorno può essere richiesta dopo sei anni (prima erano cinque) ed è sempre prevista l’espulsione dello straniero non autorizzato ad entrare o soggiornare  in Italia , con divieto di rientro per 10 anni .
E’ quanto  affermato dalla stessa Corte di Cassazione in una sua pronuncia “Le modificazioni apportate con la legge 189/02 hanno accentuato il carattere di tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica […] capovolgendo la visione solidaristica in una esclusivamente repressiva” .
A partire dal 2002 tutti i numerosi interventi legislativi sull’immigrazione sono andati nella medesima direzione: limitare le possibilità di ingresso  e soggiorno nel nostro territorio.
Anche l’ultima legge emanata, il c.d. Pacchetto Sicurezza del 2009, la legge n. 94 del 15.07.2009 mantiene un evidente orientamento repressivo. Infatti, esso pone ulteriori barriere e controlli anche nei confronti degli immigrati regolari.
L’art. 1 del “Pacchetto Sicurezza è quello che più ci interessa. Esso sostanzialmente:
• Introduce il reato di ingresso e soggiorno irregolare nel territorio dello stato (il c.d. reato di clandestinità);
• Aggiunge l’obbligo, da parte dello straniero che richiede il permesso di soggiorno, di versare un contributo di euro 80 o euro 100 e di sottoscrivere un Accordo di Integrazione con lo stato Italiano . Con questa nuova disciplina anche nel nostro Paese si è voluta perseguire la strada, già avviata in altri Stati europei, di stipulare un patto con un reciproco impegno a fornire da parte dello Stato gli strumenti della lingua, della cultura e dei principi generali della costituzione italiana e da parte del cittadino straniero, l’impegno al rispetto delle regole della società civile al fine di perseguire, nel reciproco interesse, un ordinato percorso di integrazione basato sul principio dei crediti ;
• Disciplina le procedure e le esenzioni in casi di richiesta d’asilo, di motivi umanitari e di protezione internazionale nel loro rapportarsi con le normative del testo unico;
• Obbliga lo straniero ad esibire il permesso di soggiorno agli uffici pubblici, insieme agli altri documenti che il caso specifico richiede;
• Proroga il trattenimento dello straniero nel CIE (centro di identificazione ed espulsione) fino a 180 giorni;
• Istituisce il c.d. “Fondo Rimpatri”  con l’obiettivo generale di sostenere gli sforzi compiuti dagli Stati membri per migliorare la gestione dei rimpatri in tutte le sue dimensioni, sulla base del principio di una possibile gestione integrata del problema (rimpatri forzati e rimpatri volontari assistiti);
• Amplifica i controlli ed i requisiti igienico – sanitari e abitativi, già introdotti con la legge Bossi – Fini;
• Inasprisce le pene per il favoreggiamento all’immigrazione clandestina (è prevista, infatti, la reclusione fino a tre anni e la multa fino a 15.000 euro per ogni persona favorita);
• Per ottenere la cittadinanza Italiana mediante matrimonio diventano necessari 2 anni di soggiorno regolare ininterrotto ed un contributo di 200 euro.

1.4.  Le misure di contrasto all'illegalità
In relazione alla violazione degli obblighi e delle formalità previste per l'ingresso ed il soggiorno, il T.U. disciplina specifici mezzi di contrasto alle situazioni di illegalità. Nella parte relativa alla disciplina dei respingimenti e delle espulsioni si rileva in modo chiaro l'obiettivo dell'attuale legislazione di contrastare definitivamente l'immigrazione clandestina e lo sfruttamento criminale dei flussi di immigrazione.
A) Il respingimento alla frontiera
L'art. 5, comma 2, della Convenzione di applicazione dell'Accordo di Schengen, prescrive che l'ingresso nel territorio dell'Unione Europea (e degli Stati contraenti) deve essere rifiutato allo straniero che non soddisfi tutte le condizioni dettate dalla convenzione medesima.
Il  potere di respingimento deriva dalla potestà di ogni ordinamento di decidere ed attuare la propria politica migratoria, cercando un equilibrio tra le considerazioni attinenti l'ordine pubblico interno, da un lato, e gli impegni assunti con gli accordi mediante i quali si è giunti alla determinazione di uno spazio unico europeo, dall'altro.
D'altra parte, lo straniero non può vantare il diritto ad accedere al territorio dell'Unione (o in particolare nel nostro Paese) ma solamente un interesse legittimo che si risolve nella pretesa che lo Stato, nell'applicare il provvedimento, rispetti le leggi e la normativa internazionale, nei limiti dei poteri e della discrezionalità in materia. Anzi, a ben vedere, la potestà di cui trattasi non è discrezionale ma vincolata all'accertamento della mancanza dei requisiti positivi o della sussistenza di motivi ostativi.
Quanto alla natura giuridica, il respingimento è uno strumento ostativo all'ingresso nel territorio dello Stato per quei soggetti che sono privi dei requisiti di legge .
Il primo comma dell'art. 10 T.U. (art. 8 L. 40/1998) prescrive: "La Polizia di frontiera respinge gli stranieri che si presentano ai valichi di frontiera senza avere i requisiti richiesti dal presente testo unico per l'ingresso nel territorio dello Stato" (ovvero, un valido documento di viaggio, il visto di ingresso se richiesto, la documentazione idonea a comprovare lo scopo del viaggio e la disponibilità di mezzi di sussistenza).
Il secondo comma, aggiunge "Il respingimento con accompagnamento alla frontiera è altresì disposto dal questore nei confronti degli stranieri: a) che entrando nel territorio dello Stato sottraendosi ai controlli di frontiera, sono fermati all'ingresso o subito dopo; b) che nelle circostanze di cui al comma 1 (mancanza dei requisiti per l'ingresso) sono stati temporaneamente ammessi nel territorio per necessità di pubblico soccorso".
La nuova formulazione della norma ha risolto un frequente problema operativo conosciuto e non efficacemente contrastato, per la carenza di strumenti normativi, sotto l'imperio della legislazione abrogata. Infatti, per la legge Martelli non era più possibile irrogare detta misura quando lo straniero avesse, anche se clandestinamente, già messo piede in Italia. La nuova legge ha superato il problema pur disgiungendo, in quanto alla competenza, la potestà ad adottare il provvedimento. Nella fase in cui lo straniero si trova ancora oltre la linea di frontiera provvederà la Polizia di frontiera, se invece lo straniero è riuscito ad eludere questo controllo ma viene sorpreso all'ingresso o subito dopo, provvede il questore.
Il comma 4 dell'art. 10 T.U. esclude la possibilità di respingimento in casi in cui sulla necessità di protezione del territorio sottesa al provvedimento, prevalgono motivi di rispetto dei diritti fondamentali della persona umana.
La norma vieta il respingimento nei casi delle disposizioni vigenti che disciplinano l'asilo politico, il riconoscimento dello status di rifugiato, ovvero l'adozione di misure di protezione temporanea per motivi umanitari.
Il comma 5 dell'art. 10 stabilisce che per lo straniero respinto è prevista l'assistenza presso i valichi di frontiera. La norma pone a favore dello straniero il diritto di essere assistito.
Si tratta di una applicazione pratica della previsione contenuta nell'art. 2 che stabilisce: "Allo straniero comunque presente alla frontiera sono riconosciuti i diritti fondamentali della persona umana...".
B) L'espulsione
La disciplina delle espulsioni e contenuta negli artt. 13, 14, 15 e 16 del Testo Unico che prevede i seguenti tipi di provvedimento: l’espulsione amministrativa (art. 13 T.U.); l’espulsione a titolo di misura di sicurezza (art. 15 T.U.) e l’espulsione a titolo di sanzione sostitutiva alla detenzione (art. 16 T.U.).
Sono competenti ad emettere il provvedimento di espulsione a seconda dei casi: il Ministro dell'Interno; il Prefetto; l'Autorità Giudiziaria.
Il Ministro dell'Interno può disporre l'espulsione dello straniero anche non residente nello Stato, dandone preventiva notizia alla Presidenza del Consiglio dei Ministri ed al Ministro degli Affari Esteri, per motivi di ordine pubblico o di sicurezza dello Stato. Tale provvedimento si iscrive tra quelli, previsti dall'ordinamento internazionale, diretti a tutelare i beni fondamentali dello Stato democratico.
Si tratta di un atto molto discrezionale, salva naturalmente un'adeguata e concreta motivazione circa la pericolosità del soggetto. La potestà del Ministro, fatto salvo quanto detto, è molto ampia, potendo egli adottare il provvedimento anche nei confronti di chi gode di immunità diplomatica, dei rifugiati politici, dei minori d'età, degli apolidi e dei titolari di carta di soggiorno.
L'iter previsto per l'adozione del provvedimento denuncia di per sé stesso l'estrema delicatezza: esso è destinato agli stranieri pericolosi non tanto per la sicurezza pubblica, ai quali peraltro provvede il prefetto, ma per la sicurezza nazionale. Anche se questa finalità si scorge solo leggendo tra le righe del primo comma dell'art. 13, risulta abbastanza evidente che la norma vuole offrire all'ordinamento gli strumenti per allontanare coloro che sono dediti ad attività spionistica ed i terroristi internazionali.
Per quanto concerne, infine, le modalità di esecuzione, è previsto l'intervento del questore che provvede all'accompagnamento alla frontiera.
Il provvedimento di allontanamento in questione è adottato dal prefetto, quando lo straniero sia entrato nel territorio dello Stato sottraendosi ai controlli di frontiera ed eludendo tali controlli non sia stato possibile respingerlo seduta stante ai sensi dell'art. 10 del T.U.; quando, entrato nel territorio dello Stato, non abbia regolarizzato la sua posizione di soggiorno, facendone regolare richiesta nei termini all'ufficio di pubblica sicurezza, salvo che sia in grado di dimostrare che non ha ottemperato per motivi di forza maggiore; quando, titolare di regolare permesso, il provvedimento sia revocato o annullato; quando, titolare di regolare permesso di soggiorno, il provvedimento sia scaduto di validità e non ne sia stato richiesto il rinnovo nel termine perentorio di sessanta giorni.
L'espulsione prefettizia è disposta, ancora, quando lo straniero appartiene ad una delle categorie indicate nell'art. 1 della legge 27 dicembre 1956, n. 1423, come sostituito dall'art. 2 della legge 3 agosto 1988, n. 327. Sono appartenenti a dette categorie coloro che debbano ritenersi, sulla base di elementi di fatto, che siano abitualmente dediti a traffici delittuosi; coloro che per la condotta e per il tenore di vita debbano ritenersi, sulla base di elementi di fatto, che vivano abitualmente, anche in parte, con i proventi di attività delittuose; coloro che per il loro comportamento debba ritenersi, sulla base di elementi di fatto, che sono dediti alla commissione di reati che offendono o mettono in pericolo l'integrità fisica morale dei minorenni, la sanità, la sicurezza o la tranquillità pubblica. Lo straniero sarà espulso con provvedimento prefettizio anche quando appartiene ad associazioni di tipo mafioso, alla camorra o ad altre associazioni, comunque localmente denominate, che perseguono finalità o agiscono con modi corrispondenti a quelli delle associazioni di tipo mafioso.
Tanto  che si tratti di provvedimento prefettizio, quanto che si tratti di atto del Ministro dell'Interno, l'espulsione è disposta con decreto motivato. Nel caso in cui a carico del soggetto sia stato aperto un procedimento penale, l'Autorità giudiziaria, di regola, salvo che sussistano inderogabili esigenze processuali, rilascia il nullaosta.
In forza dell'art. 15 T.U., fuori dai casi previsti dal codice penale, il giudice può ordinare l'espulsione dello straniero che sia condannato per uno dei delitti previsti dagli art. 380 e 381 c.p.p., sempre che risulti socialmente pericoloso.
L'articolo in esame allarga senza dubbio il novero delle ipotesi di reato cui far conseguire, dopo la pena detentiva, l'applicazione della particolare misura di sicurezza. Si nota, infatti, che questa può essere disposta in sede di condanna per tutti i reati per i quali il codice di procedura penale prescrive o consente l'arresto in flagranza. L'applicazione, comunque, presuppone l'accertamento della pericolosità del soggetto, escludendosi in tal senso ogni presunzione ex lege di tale qualità.
L'art. 16 T.U. conferisce al giudice, nel pronunciare la sentenza di condanna per un reato non colposo o nell'applicare una pena su richiesta delle parti a norma dell'art. 444 cod. proc. pen., di sostituire la pena con la misura dell'espulsione per un periodo non inferiore a cinque anni. Detta possibilità sussiste nei confronti dello straniero che si trovi in una delle condizioni cui l'art. 13 comma 2 T.U. fa conseguire l'espulsione prefettizia, nel caso ritenga di dovere irrogare una pena entro il limite di due anni e non ricorrano le condizioni per ordinare la sospensione condizionale della pena (art. 163 cod. pen.), né le cause ostative indicate dall'art. 14 comma 1 dello stesso T.U. La misura è eseguita dal questore secondo le modalità dell'art. 13 comma 4, anche se la sentenza non è irrevocabile.
L'espulsione, in via ordinaria, è lasciata allo spontaneo adempimento in quanto, di regola, il provvedimento contiene l'intimazione a lasciare il territorio dello Stato entro il termine di quindici giorni e ad osservare le prescrizioni per il viaggio e per la presentazione all'Ufficio della Polizia di frontiera.
Quando l'espulsione è disposta nei confronti dello straniero che si è trattenuto sul territorio dello Stato senza aver richiesto il permesso di soggiorno, ovvero il permesso è stato revocato o annullato o scaduto senza richiesta del rinnovo, il questore può adottare il provvedimento di trattenimento dello stesso in un centro di permanenza temporanea quando il prefetto ritenga concreto il pericolo che lo straniero si sottragga all'esecuzione del provvedimento.
A norma del 4º e del 5º comma dell'art. 13, invece, l'espulsione è eseguita dal questore con accompagnamento alla frontiera a mezzo della forza pubblica, quando lo straniero espulso con ingiunzione di abbandonare il territorio nazionale si sia invece trattenuto indebitamente oltre il termine fissato con l'intimazione; quando si tratti di espulsione prefettizia irrogata allo straniero appartenente ad una categoria di soggetti pericolosi (art. 13, comma 2, lettera c) ed il prefetto ritenga, sulla base di circostanze obiettive, il concreto pericolo che lo straniero si sottragga all'esecuzione del provvedimento; nel caso in cui si tratti di straniero entrato sottraendosi ai controlli di frontiera, quando sia privo di valido documento attestante la sua identità e nazionalità ed il prefetto rilevi, tenuto conto delle circostanze obiettive riguardanti il suo inserimento sociale, familiare o lavorativo, un concreto pericolo che lo straniero medesimo si sottragga all'esecuzione del provvedimento.
Tanto il decreto di espulsione, quanto l'eventuale provvedimento di assegnazione ad un centro di permanenza temporanea, debbono essere portati a conoscenza dell'interessato in modo formale tradotto in lingua da lui conosciuta, ovvero, ove non sia possibile in lingua inglese, francese o spagnola, con chiara indicazione delle modalità di impugnazione. La stessa garanzia si applica ad ogni altro atto concernente l'ingresso, il soggiorno e l'espulsione.
Per quanto riguarda la possibilità di ricorso, avverso il provvedimento prefettizio può essere presentato unicamente al pretore entro cinque giorni dalla comunicazione del decreto o del provvedimento. Il termine è di trenta giorni qualora l'espulsione sia eseguita con accompagnamento immediato. Il giudice competente è quello del luogo in cui lo straniero risiede o dimora. Se si tratti di accompagnamento immediato previa assegnazione ad un centro di permanenza temporanea è competente il pretore cui spetta la decisione della convalida della misura. Il pretore si pronuncia per l'accoglimento o per il rigetto con un unico provvedimento adottato in ogni caso entro dieci giorni dalla data di deposito, sentito l'interessato, nei modi di cui agli artt. 737 ss. del codice di procedura civile.
Come già ricordato, se si tratta, invece, di provvedimento del Ministro dell'Interno, è ammesso il ricorso al TAR del Lazio.
Esclusi i casi per i quali l'art. 19 prevede il divieto, lo straniero espulso viene rinviato allo Stato di appartenenza, ovvero, quando ciò non sia possibile, allo Stato di provenienza.
Una volta allontanato non può rientrare nel territorio nazionale senza una speciale autorizzazione del Ministro dell'Interno.
Il trasgressore è punito con l'arresto da due a sei mesi ed è nuovamente espulso con accompagnamento immediato. Il divieto vige per cinque anni salvo che il pretore o il tribunale amministrativo regionale, con provvedimento che decide sul ricorso, ne determinano diversamente la durata per un periodo comunque non inferiore a tre anni, sulla base di legittimi motivi ad-dotti dall'interessato e tenuto conto della complessiva condotta da egli tenuta nel territorio dello Stato.
L'art. 14 T.U. dispone che quando non è possibile eseguire con immediatezza l'espulsione mediante l'accompagnamento alla frontiera ovvero il respingimento il questore dispone che lo straniero sia trattenuto, per il tempo strettamente necessario, presso il centro di permanenza temporanea ed assistenza più vicino tra quelli individuati o costituiti con decreto del Ministro dell'Interno.Per quanto concerne il regime della permanenza, la legge prevede che lo straniero sia trattenuto con modalità tali da assicurare la necessaria assistenza ed il pieno rispetto della sua dignità. Allo stesso è assicurata la corrispondenza, anche telefonica, con l'esterno.
Il controllo del centro è affidato al questore che, avvalendosi della forza pubblica, adotta ogni provvedimento ed ogni necessaria misura per il mantenimento dell'ordine e della sicurezza nel centro. Tra queste rientrano le misure per l'identificazione delle persone e per la sicurezza dell'ingresso del centro. Rientrano anche i provvedimenti diretti ad impedire l'indebito allontanamento e per ripristinare la misura qualora questa venga violata. Il gestore del centro ed il personale impiegato sono tenuti ad offrire collaborazione al questore quando venga loro richiesta.

1.5. Andamento dei flussi.
Oggi e da circa 15 anni che l’Europa è destinataria di notevoli ondate migratorie provenienti dall’Est Europeo, dall’Asia e dall’Africa.
Se ci fermiamo ad ascoltare di politici, giornalisti e cittadini, l’immigrazione sembra un costante flusso in entrata, in cui i nuovi arrivi si accumulano ai vecchi. In realtà nel processo migratorio, oltre ad un elevato numero di entrate, vi è un elevato numero di uscite, in quanto alcune persone rientrano nel loro paese di origine o si trasferiscono in un paese terzo.
Oggi vivono in Italia circa 4 milioni di stranieri, di cui almeno mezzo milione clandestini, si tratta del 6,7% della popolazione italiana .
Ma da dove vengono i migranti?

 
(Fonte: volume di limes 2/2009)

Il grafico rappresenta l’attuale mappa dei flussi migratori in Italia.
Da un’attenta analisi emerge che tre sono i principali flussi che giungono in Italia:
1. Quello del continente Asiatico (Filippine, Sri Lanka, India, Cina, Pakistan e Bangladesh);
2. Quello del Nord Africa, dell’Area Maghrebina e del Corno d’Africa;
3. Quello dei paesi dell’Ex blocco Sovietico ed alcuni paesi dell’Europa dell’Est.
In realtà già dagli anni settanta l’Italia presentava una realtà multietnica, in cui erano presenti diverse migrazioni.
Inizialmente la presenza straniera era fatta per lo più di europei e occidentali, in virtù delle relazioni politiche e commerciali che intercorrevano tra questi paesi.
Successivamente i flussi iniziano ad essere influenzati dalle opportunità di lavoro e cominciano a giungere in Italia marocchini, egiziani ed algerini.
Negli anni Novanta, infine, si sviluppa un altro sistema migratorio, che perdura fino ad oggi, proveniente dall’Albania e dall’Est Europeo con Romeni (la cui presenza nell’ultimo decennio ha sfiorato il milione), Polacchi e Ucraini.
Per quanto riguarda l’immigrazione proveniente dal Nord Africa, nonostante rimanga la meno importante da un punto di vista quantitativo, la sua visibilità ed i costi che impone, in termini non solo economici ma soprattutto di perdite di vite umane, la pongono al centro del dibattito politico nazionale ed europeo. Si è sentito parlare molto, infatti degli sbarchi che hanno interessato le coste trapanesi ma soprattutto lampedusane.
Per contrastare l'immigrazione africana nel Canale di Sicilia, il governo italiano ha siglato diversi accordi con la Libia.
Il primo, firmato  nel 2003, prevedeva l'invio in Libia di mezzi per il pattugliamento e fondi per la costruzione di due campi di detenzione a Kufrah e Gharyan. Un secondo accordo è stato firmato il 29 dicembre 2007 e prevedeva la predisposizione di pattugliamenti italo-libici da effettuarsi in acque libiche con l'obiettivo di respingere verso i porti di partenza i migranti intercettati in mare.
Questi transiti di migranti avvengono sia via terra sia via mare (con sbarchi principalmente in Sicilia, Sardegna, Puglia e Calabria), ma vengono segnalati anche ingressi per via aerea, utilizzando piccoli scali aeroportuali.
Degli immigrati che giungono in Italia, il 62,5% si è insediato al Nord, il 25% nel Centro e il 12,5% nel Mezzogiorno.
  
                    (Fonte: volume di limes 2/2009)

Dalla mappa si può notare come tra le province italiane, quella con la comunità straniera più grande è quella di Milano (407.191), seguita da quella di Roma (405.657), quindi le province di Torino (198.249) e Brescia (160.284). Nonostante ciò, le province che hanno avuto gli incrementi percentuali maggiori rispetto al 2009 sono proprio quelle centro-meridionali e insulari (Taranto: +33,3%; Nuoro: +17,4%; Caltanissetta: +16,3%; Cosenza: +15,7%) .
 
CAPITOLO 2:
LA CRIMINALITA’ ORGANIZZATA

Sommario: 2.1. La criminalità organizzata in Italia; 2.2. Le organizzazioni criminali autoctone; 2.3. Le organizzazioni criminali allogene.

2.1. La criminalità organizzata in Italia.
 La nozione di criminalità organizzata è nozione "vagamente sociologica", che può esser specificata e chiarita ricorrendo ad un'interpretazione sistematica delle disposizioni del codice di procedura penale e di quelle a queste complementari.
Con il termine Criminalità organizzata si indicano tutte quelle attività criminose di particolari tipi di organizzazioni, definite organizzazioni criminali, non costituite in maniera fortuita per la commissione estemporanea di reati ma organizzate in maniera relativamente stabile con uno schema gerarchico e con un obiettivo comune.
La Convenzione delle Nazioni Unite (sottoscritta a Palermo nel 2000) definisce il “gruppo criminale organizzato” come “un gruppo strutturato, esistente per un periodo di tempo, composto da tre o più persone che agiscono di concerto al fine di commettere uno o più reati gravi o reati stabiliti dalla presente Convenzione, al fine di ottenere, direttamente o indirettamente, un vantaggio finanziario o un altro vantaggio materiale” .
Solitamente lo scopo principale di tali organizzazioni è il profitto economico, ma in alcuni casi possono essere considerati gruppi, come le organizzazioni terroristiche o le organizzazioni coinvolte in conflitti interetnici, che sono invece di matrice politica, ideologica o sociale.
I fenomeni criminali, e quindi anche la stessa criminalità organizzata, sembrano seguire lo sviluppo economico e sociale del paese, riproducendone i meccanismi. Quindi più complessa diventa la società e maggiormente si articola la criminalità.
La crescente globalizzazione dell’economia mondiale, inoltre, favorendo la libera circolazione di merci e persone, contribuisce ad accrescere il rischio di una maggiore diffusione della criminalità organizzata. Ma non solo, sono state registrate sinergiche collaborazioni delle organizzazioni locali con altre realtà criminali endogene e straniere che proiettano sempre più gli interessi criminali verso contesti transnazionali.
I grafici  che seguono illustrano in maniera analitica la portata del fenomeno in  Italia durante il primo semestre del 2011.
La maggioranza della delittuosità associativa registrata è detenuta dalle organizzazioni criminali locali, ma è evidente un progressivo aumento di quella attuata da stranieri comunitari ed extracomunitari.

 
(Fonte: Relazione semestrale D.D.A. , 1°semestre 2011)

 
Questo variegato e composito quadro criminale ha sollecitato l’adozione, da parte degli Stati e delle rispettive Forze di polizia, di mirate strategie di contrasto sul piano globale, attraverso l’armonizzazione delle legislazioni penali nazionali con quelle transnazionali, il rafforzamento della collaborazione e degli scambi informativi oltre che alla intensificazione dell’attività repressiva.
In merito, è opportuno citare la L. n.146 del 16 marzo 2006 con la quale il legislatore italiano ha provveduto a ratificare la succitata  Convenzione delle Nazioni Unite e i Protocolli contro il crimine organizzato adottati dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite riunitasi a Palermo nel Dicembre del 2000.
È bene sottolineare che queste manifestazioni criminali aventi vincolo associativo, come vedremo meglio in seguito,  non sono prerogativa delle sole aree  meridionali d’Italia, ma sono presenti, seppure con diversi livelli di grandezza e pericolosità, in tutta la penisola.

2.2. Le organizzazioni criminali autoctone.
 La criminalità organizzata di tipo mafioso continua a caratterizzare il panorama delinquenziale nazionale secondo modelli in continua evoluzione, privilegiando un sostanziale
radicamento sul territorio d’influenza e mantenendo un’elevata capacità di infiltrazione nel tessuto economico-finanziario.
I sodalizi criminali più strutturati, cosa nostra, ‘ndrangheta, camorra e criminalità organizzata pugliese, continuano ad esercitare una efficace azione di controllo dei territori di origine ed a rappresentare una grave minaccia allo sviluppo delle relazioni tra le varie componenti sociali e dell’ordine economico.
Le organizzazioni criminali, quindi, condizionano segmenti dell’economia imprenditoriale
nazionale e, nel corso delle numerose operazioni di polizia effettuate sul territorio nazionale, è stata acclarata la loro ingerenza negli appalti pubblici, nell’utilizzo dei fondi strutturali, nell’acquisizione e/o controllo di attività legali. Si fa ricorso sistematico alla commissione di reati tipici di mafia (estorsioni, usura, riciclaggio) per esercitare pressione sul tessuto socio-economico.
Come già detto, la criminalità organizzata Italiana è popolata da una varietà di gruppi e organizzazioni, tra cui la più nota, per durata e reputazione, è la Mafia Siciliana.
 Con l'espressione Cosa nostra o mafia siciliana si è soliti indicare l’organizzazione criminale di stampo terroristico-mafioso nata nella Sicilia occidentale nei primi anni dell’800.
È costituita da gruppi, chiamati “famiglie”, organizzati al loro interno sulla base di un rigido sistema gerarchico, composto da gregari di diverso livello. L'intero territorio controllato è suddiviso in "mandamenti".  Ogni mandamento è composto da famiglie che, insieme, eleggono un "capo mandamento" che rappresenta le stesse nella "commissione provinciale". Ogni capo mandamento elegge un sottocapo e da 1 a 3 consiglieri. Il grado immediatamente sotto è il "capo decina" che comanda direttamente parte dell'esercito delle famiglie: i "picciotti". Un ulteriore livello di importanza è il rappresentante della provincia che fa gli interessi di quest'ultima nella "commissione interprovinciale".
 Un’altra importante organizzazione criminale è la “Ndrangheta” calabrese.
Anche la 'ndrangheta si è sviluppata a fine 800 in Calabria, soprattutto nelle province di Vibo Valentia, Catanzaro, Crotone e Cosenza. Dagli anni cinquanta, in contemporanea all'emigrazione meridionale ha cominciato a operare anche nel nord Italia ed è con i sequestri di persona che negli anni settanta i media le danno attenzione sotto. Già negli anni ottanta furono in grado di mettere in piedi un traffico di droga in tre continenti. Negli ultimi 20 anni l'organizzazione ha continuato a consolidandosi in Italia e all'estero replicando la sua struttura e infiltrandosi nelle istituzioni e nel tessuto economico dei paesi
Oggi la 'ndrangheta è considerata la più pericolosa organizzazione criminale d'Europa, con numerose ramificazioni all'estero (dal Canada all'Australia e nei paesi europei meta dell'emigrazione calabrese) .
Le organizzazioni criminali calabresi si sono storicamente sviluppate intorno a singoli nuclei familiari rigidamente autoreferenziati e diffidenti verso le intromissioni esterne. Tale circostanza rende i sodalizi calabresi sempre più coesi, impermeabili e resistenti anche al fenomeno della collaborazione alla giustizia, determinando, nel tempo, uno sviluppo di modelli mafiosi complessi.
All'interno delle famiglie vi è una struttura gerarchica basata in gradi dette doti, al primo grado stanno i picciotti, poi i camorristi e infine gli sgarristi e rappresentano la cosiddetta società minore. Il capo-locale ha la dote di sgarro. Negli anni settanta furono create nuove doti di livello superiore: la Santa e il Vangelo e successivamente altre ancora le quali formano la società maggiore e di cui oggi tutti i capo-locali possiedono. Analogamente alle altre mafie italiane all'interno sono presenti rigidi riti di affiliazione, riti di dote e codici comportamentali tra gli affiliati.
La sua attività principale è il narcotraffico, seguita dalla partecipazione in appalti, condizionamento del voto elettorale, estorsione, usura, traffico di armi, gioco d'azzardo, traffico di esseri umani, e smaltimento di rifiuti tossici e radioattivi. Secondo il rapporto Eurispes 2008 ha un giro d'affari di 44 miliardi di euro annui.
 Con il termine Camorra, invece, viene indicata l’organizzazione criminale nata in Campania, in particolare a Napoli.
Essa, a differenza dalle altre Mafie, non ha una struttura gerarchica superiore in grado di gestire, mediare ed impedire la conflittualità tra i diversi gruppi delinquenziali che la compongono.
La camorra, infatti, continua a manifestare una tendenziale connotazione frammentaria, esprimendo una pluralità di realtà criminali assai fluide, distinte una dall'altra da una
forte autonomia esterna.
La polverizzazione delle organizzazioni criminali di tipo mafioso sul territorio campano determina una particolare instabilità, dando luogo in talune zone ad un rilevante fenomeno di gangsterismo “metropolitano”. In tale panorama si inseriscono i violenti scontri tra opposti aggregati delinquenziali, provocati dalla esasperata competitività per il controllo delle iniziative delittuose in contesti georeferenziati.
Le attività nelle quali tale organizzazione criminale risulta coinvolta sono il traffico di stupefacenti, il traffico di rifiuti tossici (mediante il controllo di discariche abusive ed infiltrazioni nelle attività di bonifica di siti inquinati), estorsione, usura, contrabbando e totocalcio clandestini .
 Infine abbiamo l’organizzazione criminale Pugliese della “Sacra Corona Unita”. Questa organizzazione è nata nelle carceri pugliesi come struttura di mediazione delle controversie tra detenuti. Il suo territorio d’azione è costituito dalle province di Brindisi, Taranto e Lecce.
È caratterizzata da una complessa struttura organizzativa. Il primo grado è la "picciotteria", il successivo il "camorrista", cui seguono nell’ordine sgarristi, santisti, evangelisti, trequartisti, medaglioni e medaglioni con catena della società maggiore.
Otto medaglioni con catena compongono la "Società segretissima" che comanda un corpo speciale chiamato la "Squadra della morte".
Bisogna specificare che questa piramide di ruoli ha un valore soprattutto simbolico: spesso il potere detenuto dal singolo affiliato non corrisponde in realtà alla sua posizione nella gerarchia formale .
Le principali attività illecite della mafia pugliese sono strettamente collegate all’utilizzo delle coste adriatiche e consistono nello sfruttamento dell’immigrazione clandestina, traffico di droga ed utilizzo di manodopera illegale.
2.3. Le organizzazioni criminali allogene.
 Sullo scenario delinquenziale italiano si sono affacciati nuovi protagonisti, provenienti da Paesi con un tenore di vita più basso dal nostro, che cercano di orientare le loro attività verso quelle zone dove vi è più ricchezza da depredare, giungendo anche a sfidare le organizzazioni criminali italiane per il controllo del territorio.
Tra queste potenti consorterie malavitose, un ruolo di primo piano è svolto dai gruppi criminali di origine russa, turca, cinese, nigeriana ed albanese, che dispongono di ramificate basi operative nell’Europa centrale ed occidentale.
L’attività investigativa delle FF.PP. ha rivelato, in più occasioni, che questi sodalizi hanno differenti soggettività funzionali e strutturali, diversi interessi criminali e modus operandi, pur sussistendo, tra loro, collegamenti sempre più frequenti, stabili e collaudati.
Tra gli interessi più remunerativi di queste associazioni troviamo il narcotraffico, la tratta di esseri umani ed il commercio di armi e conseguente riciclaggio.
 La criminalità albanese nonostante l’immagine diffusa di una devianza rurale, primitiva e violenta, appare, invece, evoluta, efficiente ed efficace, tanto da acquisire ruoli primari nelle strategie globali del crimine.
A livello organizzativo, pur se flessibile operativamente, è caratterizzata da una rigida disciplina interna che ricorre a dure e sanguinose sanzioni pur di ridurre il rischio di conflitti o tensioni centrifughe.
Fra le principali attività illecite dei gruppi criminali albanesi vi sono lo sfruttamento della prostituzione giovanile, il traffico di anni e lo sfruttamento di manodopera minorile e, negli ultimi tempi, il riciclaggio del denaro provento delle attività illecite.
Ma l’attività sicuramente più diffusa e remunerativa è costituita dal traffico di sostanze stupefacenti.
L’Albania, infatti, è un grande produttore di cannabis, ma non anche di eroina e cocaina, di cui i gruppi criminali sono invece abili trafficanti.
L’eroina trafficata è per la totalità di provenienza turca, mentre la cocaina proviene dall’America del sud e dagli U.S.A..
In un primo momento l’area maggiormente permeata dalla presenza della delinquenza albanese, per ragioni geografiche, è risultata la Puglia, in particolare la zona del Salento.
Successivamente i gruppi di albanesi si sono saldamente insediati nel resto della riviera Adriatica, nonché in tutta l’Italia centro-settentrionale.
Il traffico di droga fra l’Albania e l’Italia è particolarmente attivo. La rotta che attraversa il Canale d’Otranto è ormai consolidata: dai porti di Valona, Saranda e Durazzo partono ogni notte, gommoni e pescherecci, stipati di droga e clandestini, che vanno a sbarcare i loro carichi di stupefacente e di disperazione nei porti del versante adriatico italiano, Trieste, Ancona, Pescara e, più in particolare, nei porti della Puglia, Bari, Brindisi, Lecce, Otranto.
Tali elementi inducono a ritenere che l’Albania, in connubio con la criminalità organizzata italiana, in particolare quella contrabbandiera pugliese, possa giocare, in futuro, un ruolo di primo piano anche nello scenario internazionale del grande traffico di droga, proponendosi, tra l’altro, come snodo di una nuova rotta degli stupefacenti, alternativa alla vecchia "rotta balcanica".
 

 La criminalità organizzata cinese, invece, ha una struttura piramidale, ogni gradino della scala gerarchica è rigidamente separato dall’altro. Ogni posizione corrisponde ad un numero e spesso il volto del capo è ignoto ai suoi affiliati, la sua identità è rappresentata da una sequenza di cifre.
I componendi delle bande cinesi diffuse sul territorio risultano spesso minorenni, generalmente coordinati da un adulto.
Tale fenomeno risulta molto diffuso in Lombardia, ma ultimamente, anche nel Napoletano, grazie ad una ripartizione di compiti tra alcuni clan camorristici e la mafia cinese, la presenza delle strutture mafiose cinesi sta aumentando. Ovvero gli italiani mantengono il controllo del territorio ed utilizzano i canali cinesi per importare merce di ogni tipo, mentre i cinesi traggono vantaggio dal saltare le barriere doganali .
La comunità cinese è venuta, così, occupando ampie porzioni di territorio, ove oggi vi sono veri e propri "quartieri cinesi".
Ecco di seguito un grafico rappresentante la diffusione di tale organizzazione criminale sul territorio nazionale:
 
Anche i gruppi cinesi, al pari delle altre mafie, ricorrono con estrema facilità all’intimidazione e alla violenza per raggiungere i loro obiettivi, praticano la regola dell’omertà e tendono al dominio del territorio dove operano.
Le tipiche attività delinquenziali sono: traffico di clandestini con connessa falsificazione dei documenti; sequestri di persona a scopo di estorsione; organizzazione del gioco d’azzardo; rapine e recupero crediti.
 Dai rapporti della Direzione investigativa Antimafia del 2007 emerge che anche la criminalità organizzata rumena,si sta consolidando in modo sempre più preoccupante nello scenario criminale nazionale.
Al momento essa si dedica ai reati contro il patrimonio ed in particolare alle rapine in abitazione, ma già si affaccia ad altri più remunerativi circuiti criminali (sfruttamento della prostituzione, traffico di droga, in particolare di eroina, e immigrazione clandestina).
Scrivono gli investigatori della Direzione investigativa antimafia nell’ultima relazione semestrale: «In tale contesto, emerge anche la casistica relativa al “phishing”, ossia al furto dei dati personali, acquisiti fraudolentemente attraverso messaggi di posta elettronica».
Strettamente connessa al traffico degli esseri umani ed al favoreggiamento dell’immigrazione si è rivelata la problematica dei minori rumeni presenti sul tutto il territorio nazionale (in particolare Torino e Milano) impiegati nell’accattonaggio ed in altre attività delittuose .
 
 Ormai significativamente insediati in ambito nazionale sono anche i gruppi criminali nigeriani, che vanno proiettandosi dalla Campania e dal Lazio verso il nord del Paese e mostrano la propensione a reinvestire i proventi illeciti in attività commerciali di cui è fruitrice la stessa colonia.
Secondo le informazioni raccolte nelle relazioni annuali sullo stato della criminalità organizzata in Italia , le aggregazioni nigeriane starebbero innestando anche nelle regioni più prospere del Nord centrali di smistamento dei clandestini e degli stupefacenti, nonché circuiti di prostituzione gestiti con la violenza e l'intimidazione.
Forti dei vincoli di natura etnico-tribale, che conferiscono loro un'accentuata coesione interna ed un'ampia possibilità di reclutamento, si confermano particolarmente attive nel narcotraffico, nel lenocinio, nel falso documentale e monetario, nell'esportazione illegale di valuta.
I gruppi sopra indicati, al di là delle differenze che attengono alle connotazioni organizzative ed ai profili funzionali, appaiono accomunati dal passaggio da una fase di primo insediamento ad una successiva, di più articolata strutturazione. Tale processo, destinato ad acutizzare sia i conflitti interni, legati alla conquista della leadership, può essere costellato da episodi estremamente cruenti che, seppur privi di specifica valenza destabilizzante, presentano gravi ed immediate ricadute sul piano della visibilità e dell'allarme sociale.
Le isolate presenze di comunità Nigeriane, risalenti agli anni ‘80, e localizzate soprattutto nel Nord Italia, sono ormai divenute una presenza significativa anche nel Centro Sud, soprattutto in alcune zone della Campania.
Hanno sempre pervaso le proprie attività con ritualità magiche e fideistiche che, unite al vincolo etnico, costituiscono un fattore di coesione molto elevato ed una forma di assoggettamento psicologico molto forte.

 
 Sul territorio nazionale sono presenti anche sodalizi criminali composti da cittadini africani.
Tale criminalità negli ultimi anni, grazie alla fitta rete di connazionali presenti in tutta l’U.E. (in particolare Spagna e Olanda), sta evolvendo dal semplice spaccio di sostanze stupefacenti alla gestione di traffici sempre più cospicui.
La presenza capillare sul territorio, infatti, consente a tali organizzazioni di monitorare continuamente il fabbisogno di droga, nello specifico di hashish, regolando, nel modo più opportuno e redditizio, la richiesta di stupefacente verso il Marocco, poiché una eccessiva offerta abbasserebbe il prezzo.
 
 Infine, vi è la criminalità Russa, Ucraina e Moldava che ha evidenziato una spiccata capacità di organizzarsi con il carattere della transnazionalità e con una predilezione verso i mercati finanziari. Le varie mafie etniche dell'ex URSS hanno registrato una crescita esponenziale in correlazione con l'instabilità economico-politica dei luoghi di origine.
Forti di un'organizzazione che si sostanzia in un vero e proprio sistema illegale, queste organizzazioni criminali sono direttamente inserite, oltre che nei tradizionali ambiti delittuosi, anche nei traffici di materie prime, nella produzione alimentare, nelle imprese di trasporto, nell'importazione di beni di consumo e di apparecchiature elettroniche, nelle attività bancarie, assicurative e finanziarie. All'estero, si muovono essenzialmente con i tratti e le metodologie delle grandi holding affaristico-finanziarie, nella prospettiva del sistematico reinvestimento dei proventi delle attività illecite nei settori legali.
Per quanto riguarda il nostro Paese, uno studio condotto dall'Osservatorio permanente sulla criminalità  ha posto in luce come il territorio nazionale costituisca per questi gruppi essenzialmente ambito operativo di "secondo livello". In particolare, la penetrazione nel campo immobiliare e nelle infrastrutture turistiche, nonché nei mercati finanziari, finalizzata al rinvenimento di sempre nuovi e più sofisticati strumenti per il riciclaggio dei capitali di provenienza illecita.
La criminalità organizzata russa, tuttavia, affianca alle citate condotte di sfumata percepibilità, attività delinquenziali di più immediato impatto sociale, come il traffico di sostanze stupefacenti, anche grazie ad intese con i sodalizi italiani.
La stessa acquisizione di esercizi commerciali sottenderebbe, in alcuni casi, pratiche estorsive o usurarie. Il traffico di armi, esplosivi e materiale strategico, proveniente dall'arsenale bellico dell'ex superpotenza sovietica, rappresenta un'altra attività cui sono dedite le cosche russe. Importante anche il settore della prostituzione, dove centinaia di proprie connazionali vengono introdotte nel Paese e successivamente sfruttate nel sex-business della prostituzione da strada o, più spesso, nelle attività di "intrattenimento" presso i locali notturni della riviera adriatica.
È da sottolineare che la capacità della mafia russa di infiltrarsi nel tessuto economico-sociale in modo silente è alla base di una comprovata abilità strategica, la cui prima fase è costituita dall'insediamento sul territorio.
I vari esponenti malavitosi, infatti, cercano di precostituirsi dei motivi che legittimino la loro presenza e prestano particolare cura a non infrangere le leggi dello Stato, per non attirare l'attenzione delle forze di polizia.
 
 
CAPITOLO 3:
GESTIONE DELL’IMMIGRAZIONE CLANDESTINA
DA PARTE DELLA CRIMINALITA’ ORGANIZZATA

Sommario: 3.1. Premesse: connessioni tra immigrazione clandestina e criminalità organizzata; 3.2. Modus operandi delle organizzazioni criminali nel traffico di immigrati: in particolare il modello cinese; 3.3. La tratta di esseri umani; 3.4. Lo sfruttamento della prostituzione.

3.1. Premesse: connessioni tra immigrazione clandestina e criminalità organizzata.
 In linea con le più tradizionali teorie socio-psicologiche che nel corso degli anni hanno tentato di dare una spiegazione alla criminalità degli immigrati, l'ISTAT, in una pubblicazione del 1994, ha osservato che in Italia vi è stato un "inserimento progressivo degli stranieri nell'area criminale" e che "una considerevole quota di immigrati, provenienti per lo più dai Paesi extracomunitari, non trovando quelle opportunità di inserimento sperate, ha finito per costituire un serbatoio inesauribile per l'arruolamento di manovalanza criminale a basso costo" .
Nel 1998 l'Istituto Nazionale di Statistica è ritornato sul problema attribuendo l'elevata presenza straniera nell'area criminale a fattori connessi alle particolari disagiate condizioni economiche, alle situazioni di clandestinità, ai conflitti culturali, all'assenza di legami familiari .
Nonostante l'attualità delle motivazioni poste a base delle varie argomentazioni, queste teorie spiegano solo alcuni dei processi criminogeni, ma non riescono a rendere conto in modo adeguato delle trasformazioni e della grandezza dei fenomeni che oggi sono sotto gli occhi di tutti e che caratterizzano lo scenario dei rapporti tra migrazioni e criminalità.
Infatti, è estremamente complesso delineare, in maniera sintetica e nello stesso tempo esaustiva, l’insieme delle connessioni che legano l’immigrazione clandestina al mondo della criminalità.
A seguito della elaborazione da parte degli Stati interessati  di specifiche strategie di approccio nei confronti del fenomeno dell’immigrazione, la criminalità organizzata si è determinata ad investire risorse sempre più ingenti nella gestione illegale dei flussi migratori.
Essa si è organizzata come una “società di servizi”  in grado di garantire il viaggio verso il Paese desiderato.
È  divenuta protagonista di un paradossale ruolo di “dispensatrice di speranze”, poiché si è posta come lo strumento indispensabile per realizzare il sogno di raggiungere un Paese che è l’investimento per il futuro del migrante.
Questo è stato possibile soprattutto perché nonostante le politiche restrittive dei paesi di destinazione, i migranti non hanno rinunciato al desiderio di una vita migliore, hanno piuttosto trovato dei modi alternativi a quelli regolari, per poter aggirare tali politiche.
In ciò hanno trovato degli interlocutori senza scrupoli, organizzazioni criminali transnazionali e mafie, che si sono specializzati nell’ingresso illegale delle persone nei paesi occidentali, ed hanno offerto ai migranti i loro servizi in cambio di denaro. Queste organizzazioni criminali soprattutto di matrice etnica si occupano di ogni fase dell’ingresso illegale dei migranti e del traffico di esseri umani.
Si è di fronte, quindi, ad un sistema criminale integrato e all’interno del quale è possibile distinguere tre diversi livelli, caratterizzati da interdipendenza e complementarietà, ma non da rapporti di tipo gerarchico:
 Al primo livello è possibile individuare le organizzazioni etniche che pianificano e gestiscono lo spostamento delle persone da un paese all’altro;
 Al secondo livello sono poste le organizzazioni che operano sui territori “sensibili”, situati, cioè, nelle zone di confine. Ad esse le organizzazioni etniche affidano i compiti operativi (falsificazione dei documenti, corruzione ai controlli, scelta delle rotte, modalità di trasporto, ecc.)
 Al terzo livello, infine, si posizionano le organizzazioni minori che operano nelle zone di transito e confine ed hanno il compito di ricevere e smistare i clandestini su imput delle organizzazioni intermedie e dei singoli migranti o gruppi di essi.
Generalmente le organizzazioni trafficano propri connazionali, reclutati con l’inganno o con la violenza, da sfruttare soprattutto nei lucrativi mercati dello sfruttamento della prostituzione e del lavoro nero.
In Italia operano organizzazioni criminali albanesi, nigeriane, cinesi, magrebine ed est europee, specializzatesi nel traffico e nella tratta di connazionali sul nostro territorio, nonostante le cosche mafiose autoctone (cosa nostra, ‘ndrangheta, camorra e sacra corona unita) continuino ad avere un ruolo primario nello scenario criminale, soprattutto in determinati settori illeciti in cui la penetrazione di sodalizi stranieri non è permessa (traffico di stupefacenti, appalti pubblici, etc.). Tuttavia, le mafie hanno concesso alle organizzazioni straniere di poter operare sul territorio italiano, nell’ambito del traffico di persone.
In particolare, la criminalità straniera si è inserita nel settore dello sfruttamento della prostituzione e del lavoro nero, in cui vengono impiegati gli immigrati.
3.2.  Il modus operandi dei gruppi criminali nel traffico di immigrati: in particolare il modello cinese.
Tra le organizzazioni criminali straniere quella di matrice cinese è la più addentrata nello sfruttamento dell’immigrazione clandestina. Nella gestione del fenomeno dell’immigrazione, mentre le altre organizzazioni criminali presentano modelli segmentati, con inefficienze dal punto di vista logistico e privi di un adeguato coordinamento; le organizzazioni cinesi si caratterizzano per una spiccata capacità di imbastire collegamenti e ramificazioni transnazionali, grazie ai quali sovraintendere alle diverse tappe del viaggio dei migranti.
Esse lucrano cifre esorbitanti facendo leva sulla disperazione e sul desiderio di quanti aspirano a far fortuna all’estero, costituendo, in tal modo, un fertile terreno di reclutamento di manovalanza criminale e di forza lavoro a prezzi irrisori.
E’ stato, inoltre, accertato che la criminalità associata cinese si avvale del traffico illegale di immigrati per introdurre in un determinato territorio persone consapevoli fin dall’inizio che, per pagare il viaggio, saranno costretti a commettere reati di ogni tipo per conto delle organizzazioni.
Secondo le informazioni acquisite nel corso di indagini svolte dalle FF.PP.  a partire dal 1990, si sono potute ricostruire le rotte utilizzate e il modus operandi di questi gruppi criminali cinesi nel gestire i traffici di immigrati.
L’individuo che intende emigrare clandestinamente si rivolge ad un membro della "banda" con il quale viene concordato il prezzo dell’operazione, che varia dai 100.000 ai 120.000 Yan.
Il "viaggiatore", dopo aver stipulato l’accordo, consegna alcune fotografie, che serviranno per il rilascio del passaporto o di documenti equipollenti. Tali documenti sono originali, poiché rilasciati dalle Autorità, di solito di un’altra provincia, grazie a funzionari pubblici compiacenti. I dati riportati non corrispondono però alle generalità dei soggetti a cui si riferiscono le fotografie.
I documenti non sono consegnati ai "viaggiatori", ma sono tenuti dal loro "accompagnatore", il quale li utilizza per il passaggio delle varie frontiere, consegnandoli momentaneamente al clandestino e ritirandoli subito dopo aver oltrepassato il confine.
Per giungere in Italia i clandestini, dopo aver superato il primo confine, soggiornano per un certo periodo di tempo a Mosca o in altre città dell’Est Europeo, in attesa di essere divisi in sottogruppi e "smistati" per le varie destinazioni. Quelli diretti in Italia da Mosca giungono in Croazia, da dove, quasi sempre a bordo di autovetture o motoscafi, raggiungono il confine con l’Italia.
L’attraversamento del confine terrestre avviene a piedi, in prevalenza durante le ore serali o notturne. In territorio italiano, i clandestini si ricongiungono a coloro che li avevano accompagnati in auto e, con lo stesso mezzo, sono accompagnati alla più vicina stazione ferroviaria, da dove raggiungono le "basi" dell’organizzazione.
Attualmente è l’Albania il paese da cui proviene il maggior numero di immigrati clandestini. 
La disperazione dei clandestini è sfruttata proprio da queste organizzazioni che gestiscono un vero e proprio "business", controllando la raccolta, l’imbarco ed il trasporto via mare dei clandestini e assicurando loro, dietro il pagamento di cospicue somme di denaro, l’assistenza sino al raggiungimento della località di destinazione italiana.
Il braccio di mare del canale d’Otranto è attraversato quasi ogni notte dagli scafisti albanesi che dai porti di Durazzo, Valona e Saranda si spingono fino alle coste italiane.
A tale attività, come già detto, sono interessati, in molti casi, anche sodalizi italiani, in particolare pugliesi, che affiancano con varie forme di collaborazione i gruppi criminali albanesi, sia nell’organizzazione del trasporto dei clandestini, sia nel trasferimento che segue l’approdo in Italia sul territorio nazionale.
Gran parte dei clandestini che giungono nel nostro paese, privi di qualsiasi prospettiva di lavoro, sono reclutati dalla malavita ed impiegati nello spaccio di sostanze stupefacenti o nell’effettuazione di tutti quei reati ad esso strettamente connessi, come rapine e furti, iniziandoli così ad una nuova carriera criminale.

3.3. La tratta di esseri umani.
Nel nuovo contesto globale, caratterizzato dalla compresenza di fenomeni ed esigenze complesse, che vanno dalla tutela dei diritti umani dei migranti alla tutela della sicurezza e dell’ordine pubblico negli Stati di destinazione, si collocano le nuove forme di schiavitù.
La differenza tra quest’ultime e le vecchie schiavitù è che prima la schiavitù era legale e costituiva un pilastro dell’economia, mentre oggi è illegale ed è diventata uno strumento di profitto per le organizzazioni criminali transnazionali .
Il commercio della c.d. “merce umana” ai fini dello sfruttamento costituisce un mercato illegale che rende, alle organizzazioni criminali, diversi miliardi di euro l’anno, un profitto inferiore soltanto a quello generato dal mercato degli stupefacenti e delle armi .
Le zone di reclutamento dei nuovi schiavi sono costituite dai paesi poveri, soprattutto quelli in cui, a causa di guerre civili o altri fattori socio-economici, hanno subito un drastico e inatteso calo delle condizioni di vita.
Questa visione dei fenomeni fa emergere l’altra faccia dell’immigrazione, non quella che identifica il clandestino in un criminale, ma quella che lo pone come vittima di gravi, anzi gravissimi reati.
Per il trafficante quel che distingue la persona come oggetto del traffico dalle altre merci illecite è che la prima è dotata di parola e soprattutto di volontà, quindi deve essere controllata con l’inganno, la violenza e il ricatto .
Il traffico di migranti risponde, in modo illecito, ad un bisogno elementare di masse enormi di persone: quello di emigrare, di cercare di migliorare la propria esistenza andando a lavorare lontano dal proprio paese e lasciandosi alle spalle situazioni che determinano sofferenza estrema. La motivazione principale, quindi, è la domanda di emigrazione avanzata da chi vuole emigrare e che viene soddisfatta, dietro compenso, da soggetti, appartenenti alla criminalità organizzata transnazionale e che garantiscono al richiedente un ingresso per vie illegali in Italia o nell’altro paese prescelto.
Nel particolare settore del traffico di migranti, il soggetto criminale svolge una funzione assimilabile a quella di una “agenzia viaggi”, di un tour operetor che assicura l’arrivo nel posto pattuito, disinteressandosi completamente del futuro della persona trasportata.
Il traffico degli esseri umani è suddivisibile in due distinte componenti:
 Smuggling: termine con il quale è da intendersi ogni azione messa in atto «per l’ingresso non autorizzato di una persona in uno Stato [...] di cui il soggetto non è cittadino o residente permanente, al fine di ottenere, direttamente o indirettamente, un vantaggio finanziario o di altro tipo» , il c.d.“favoreggiamento dell’ immigrazione clandestina”. In questa situazione i potenziali migranti si rivolgono direttamente alle organizzazioni criminali per poter migrare. Essi investono un capitale proprio, che hanno maturato attraverso il risparmio o vendendo i loro beni, per il servizio di trasporto e per i documenti. Una volta giunti a destinazione il rapporto con i trafficanti, i c.d. smuggler,  si conclude.
 Trafficking: termine, invece, con il quale si identifica la vera e propria tratta degli esseri umani a fini di sfruttamento del lavoro o dei servizi prestati da tali soggetti, compresi quanto meno il lavoro o i servizi forzati, la schiavitù, oppure a fini di sfruttamento della prostituzione altrui o di altre forme di sfruttamento sessuale, anche nell'ambito della pornografia. Ci si riferisce, quindi, al reclutamento, al trasporto, al trasferimento di una persona, al darle ricovero e alla successiva accoglienza, compreso il passaggio o il trasferimento del potere di disporre di questa persona . Si realizza qualora:
- sia fatto uso di coercizione, violenza o minacce, compreso il rapimento;
- sia fatto uso di inganno o frode;
- vi sia abuso di potere o di una posizione di vulnerabilità tale che la persona non abbia altra scelta effettiva ed accettabile se non cedere all'abuso di cui è vittima;
- siano offerti o ricevuti pagamenti o benefici per ottenere il consenso di una persona che abbia il potere di disporre di un'altra persona.

3.4.  Lo sfruttamento della prostituzione.
 Nell’ultimo decennio la tratta delle donne a scopo di sfruttamento sessuale ha assunto in Europa sempre più rilevanza e visibilità.
Secondo l’ultima indagine specifica operata dalla Commissione Affari Sociali della Camera, in Italia si stimano dalle 50.000 alle 70.000 prostitute, di cui 25.000 sarebbero immigrate  e 2.000 minorenni. Di queste il 65% lavora in strada, il 29,1% in alberghi ed il resto in case private.
Nel 2012 si è assistito ad un calo di numerosi delitti, ma gli unici in continuo aumento sono proprio quelli di sfruttamento e favoreggiamento della prostituzione .
 
(Fonte: Ministero dell’interno, Osservatorio sulla Prostituzione e fenomeni ad essa connessi, 2007)
 

Ma qual è la differenza tra il reato di favoreggiamento e quello di sfruttamento della prostituzione?
Secondo la giurisprudenza prevalente, il reato di favoreggiamento della prostituzione consiste in una condotta volta ad agevolare e sostenere la altrui attività di meretricio sotto il profilo organizzativo, mediante un agire improntato a fornire supporto, strumenti ed ausilio alla prestazione ed all’offerta della prostituzione.
Si distinguerebbe, invece, dal più grave reato di sfruttamento della prostituzione per l’assenza del carattere di controllo e soggezione in senso proprio.
Nello specifico, si realizza lo sfruttamento della prostituzione quando vi è il reclutamento di una persona al fine di farle esercitare la prostituzione e la successiva appropriazione di parte dei proventi dell’altrui attività di mercimonio.
In Italia lo sfruttamento della prostituzione è regolamentato dalla legge n.75 del 1958, la c.d. legge Merlin .
Si possono riscontare diverse tipologie di prostituzione a seconda delle prospettive e dei criteri adottati. Una prima differenziazione è data dal luogo in cui avviene l’incontro con il cliente.
Si distingue così tra prostituzione di strada, normalmente quella più percepita dalla collettività, e prostituzione al chiuso, quest’ultima più discreta e quindi la più sommersa (svolta in diversi tipi di locali come case di appuntamenti, discoteche, abitazioni private e  night club).
Nel panorama italiano vari sono i modelli diffusi di prostituzione.
Vi è il modello albanese, moldavo e rumeno caratterizzato da una modalità di reclutamento basata proprio sull’inganno, il ricatto e l’impiego della violenza fisica e psicologica.
In tale modello l’esercizio della prostituzione è a tempo indeterminato, ovvero, la fuoriuscita avviene in genere per intercettazione delle forze dell’ordine o per intervento degli operatori di strada. Il luogo in cui viene esercitata è prevalentemente la strada, tuttavia nell’ultimo periodo si stà registrando uno spostamento negli appartamenti privati.
Vi è anche il modello nigeriano, contraddistinto da modalità di reclutamento informali, meno violente e aggressive, basate sulla stipulazione di una sorta di contratto scritto o orale suggellato da rituali magico - religiosi, woodoo, con cui le ragazze sono minacciate di pazzia, morte o incendio della casa, pertanto esse si impegnano a restituire il debito contratto per le spese di trasferimento e una percentuale del guadagno giornaliero.
La famiglia, spesso, ha il ruolo di garante rispetto alla restituzione del debito, la cui estinzione comporta lo scioglimento del rapporto di assoggettamento alla “maman”. L’attività di prostituzione avviene principalmente nelle strade e senza forme di controllo diretto.
Anche il modello russo e ucraino è caratterizzato da modalità di reclutamento basate sul consenso delle donne, consenso ottenuto mediante contratti stipulati con agenzie specializzate che regolano retribuzioni e tempi di lavoro.
L’attività di prostituzione , anche in questo modello, avviene principalmente per strada ed in locali di intrattenimento.
Il modello latino americano, infine, si caratterizza per modalità di reclutamento consensuale, mediante agenzie specializzate di migrazione sia regolare che irregolare e con alti livelli di negoziazione con gli stessi sfruttatori.
I luoghi principali di esercizio sono la strada e gli appartamenti.
Negli ultimi anni è in aumento la prostituzione da parte di donne provenienti dalla Cina. Sono state, infatti, individuate diverse case di appuntamenti gestite dalla criminalità organizzata cinese, spesso pubblicizzate su quotidiani nazionali sotto la voce di “massaggi”.
Di recente, però il fenomeno si è esteso anche per strada e sono state individuate case dove le donne cinesi operano fianco a fianco con quelle provenienti dall’Est Europa. Le regioni più colpite sono la Lombardia, il Veneto, l’ Umbria e nell’ultimo periodo anche le Marche .
Il fenomeno dello sfruttamento della prostituzione costituisce, ancora oggi, per gli albanesi, un affare criminale molto remunerativo. La presenza nella gestione di tale fenomeno da parte di clan albanesi è riscontrabile in tutto il Nord e Centro Italia.
I sodalizi rumeni, invece, hanno soppiantato, particolarmente in alcune aree del Piemonte e della Lombardia, gruppi criminali albanesi che tradizionalmente controllano quasi l’intero mercato. Inoltre è emerso il collegamento con la Camorra, alla quale l’organizzazione rumena vendeva donne da destinare al commercio in Campania.
È recentemente emersa, soprattutto nel Nord- Est della Penisola, l’operatività di una organizzazione criminale transnazionale, prevalentemente bulgara, attiva a livello europeo e dedita alla realizzazione di attività delittuose diversificata quali la tratta dei esseri umani e la conseguente riduzione in schiavitù, soprattutto di minori .
I sodalizi sudamericani risultano particolarmente dediti al favoreggiamento dell’immigrazione clandestina a fini sessuali di giovani donne provenienti dall’America Latina, anch’esse destinate al Nord (tuttavia nel 2009 sono emerse numerose attività illecite finalizzate allo sfruttamento della prostituzione nel Lazio ed in Sicilia).
Per i gruppi criminali nigeriani, lo sfruttamento della prostituzione viene consuetamente gestito in una situazione di accordi di pacificazione con la criminalità organizzata endogena presente sul territorio. Negli ultimi anni, infatti è maturato l’interesse delle consorterie mafiose locali per il business legato allo sfruttamento delle donne nigeriane, e l’originaria tolleranza si è trasformata in cooperazione, come nel caso succitato dei rapporti tra la criminalità nigeriana e la camorra napoletana .
Nel napoletano e nel casertano è stata segnalata, infatti, l’esistenza di un circuito di piccole strutture alberghiere, che intestate a soggetti prestanome di clan malavitosi, vengono messe a disposizione delle “madame” in cambio di parte dei profitti di del meretricio. Analogamente i clan lucrano sulla prostituzione esercitata all’interno dei locali notturni da loro stessi controllati.
Recenti segnali di frizione nei suddetti ambiti, però, segnalerebbe un timido tentativo di affrancamento dei sodalizi camorristici.
Il trattamento che l’organizzazione riserva alla vittima ed alla famiglia rimasta nel paese di origine è di tipo intimidatorio e mette in evidenzia il carattere transnazionale di questa tipologia criminale .
In realtà, di recente si assiste ad un cambiamento di rotta a riguardo: allo sfruttatore conviene essere più gentile con la vittima, non usare la violenza e lasciarle una buona percentuale del denaro ottenuto. Questa fa si che la vittima percepisca meno lo stato di assoggettamento e, di conseguenza, ci sono meno possibilità per lo sfruttatore di essere denunciato.
L’obbiettivo dei trafficanti o degli sfruttatori, spesso connazionali delle vittime, è di farle sentire “complici”. Ci sono capi (soprattutto nelle organizzazioni albanesi) che avviano con loro una relazione affettiva.
Le donne vittime di questo fenomeno criminoso subiscono non solo i soprusi che ledono nel profondo i loro diritti fondamentali, ma anche l’isolamento sociale, strettamente connesso allo stato di clandestinità.
Tale condizione impedisce l’accesso a canali alternativi di supporto, anche in presenza di una forte volontà di sganciamento .
Inoltre, anche mediante l’inserimento in strutture protette le donne subiscono il c.d. etichettamento. Solitamente, però, superata la prima fase, in cui vi è la presa di coscienza del “nuovo sé” e dopo aver ottenuto il permesso di soggiorno, inizia il periodo di stabilizzazione, anche attraverso l’inserimento nel mondo del lavoro.
Tuttavia, la strada per l’ autorealizzazione personale e molto lunga e necessita di un supporto anche psicologico, che permetta di superare quello stato di malessere interiore che caratterizza la fase di rielaborazione del trauma vissuto .

3.4.1. Lo sfruttamento minorile
I minori, costituiscono per le organizzazioni criminali "merce" o "materia prima" privilegiata per alcuni lucrosi affari illeciti: si pensi ai circuiti della prostituzione, della pedofilia, della produzione di materiale pornografico, delle adozioni illegali, del traffico di organi .
La scelta di operare in determinati settori illegali non è affidata al caso; essa, anzi, si basa su una profonda conoscenza delle legislazioni penali dei Paesi in cui si svolgono queste attività e dipende, soprattutto, dalla domanda (illegale) generata nel mercato di determinate prestazioni (prostituzione, pedofilia, pornografia, droga, etc.).
In Italia, il fenomeno dello sfruttamento di minori stranieri, pur se non sembra aver raggiunto dimensioni preoccupanti, è in sensibile aumento, soprattutto perché sta assumendo connotazioni in cui l'intervento giudiziario non appare sempre facile.
Del fenomeno possiamo distinguere almeno quattro diverse forme. La prima è quella più tradizionale, in cui lo sfruttamento è in qualche modo collegato alla violazione della legislazione sul lavoro minorile. Tuttavia, scarsissime sono le notizie relative all'impiego irregolare di minori stranieri.
Una seconda casistica riguarda, invece, l'utilizzo dei minori nella vendita abusiva di fiori (nomadi), accendini (cinesi), sigarette, abbigliamento e tappeti (nord-africani). L'impiego del minore di 14 anni spesso è legato al fatto che è un soggetto non imputabile. Anche in questo caso, i minori in genere svolgono un'attività che non sempre compromette la frequenza scolastica: infatti, generalmente, il minore lavora insieme o sostituisce il genitore nel lavoro pomeridiano o serale.
Ben più gravi sono le altre due tipologie di sfruttamento, dove l'impiego del minore quattordicenne, oltre ad essere determinato specificamente dalla sua non imputabilità, si inserisce all'interno di pericolose organizzazioni criminali.
In primo luogo, nel settore dell'accattonaggio dove i minori, quasi esclusivamente di sesso maschile, vengono reclutati con modalità in parte analoghe a quelle utilizzate per il reclutamento delle donne da avviare alla prostituzione. La sostanziale differenza tra gli uni e le altre è che, nel caso dei minori, le famiglie sono in genere informate dagli organizzatori del traffico e vi partecipano, ricevendo una parte dei guadagni. Identiche a quelle delle prostitute sono le modalità del trasferimento in Italia, ove vengono accompagnati da colui che li affiderà allo sfruttatore.
Differente, invece, la collocazione alloggiativa rispetto alle donne, poiché i minori sono costretti a vivere in aree periferiche, per lo più in immobili abbandonati, spesso in pessime condizioni igieniche.
I minori vengono costretti ad elemosinare per oltre dieci ore al giorno e a versare allo sfruttatore l'ammontare della questua, che viene inizialmente trattenuta per intero al fine di coprire le spese di trasferimento.
Solo in un secondo momento una parte del ricavato, in genere inferiore a quella concordata, viene inviata alle famiglie originarie tramite persona di fiducia. Sovente i minori sono sottoposti ad ogni genere di violenza, fisica o psicologica, determinata dal tentativo di affrancarsi da tale schiavitù o dallo scarso rendimento. In altri casi, invece, la violenza è totalmente gratuita e finalizzata al mantenimento dello stato di soggezione del minore nei confronti dello sfruttatore. Pur non esistendo elementi che colleghino i vari sfruttatori in gruppi più o meno organizzati, è certo che fra di essi esistono accordi di mutuo soccorso, che consentono ai singoli di mantenere il controllo dei minori in circostanze sfavorevoli.
Un altro tipo di sfruttamento minorile si riferisce all'utilizzo dei minori per piccoli furti (borseggi, furti in appartamento, furti di ciclomotori, etc.) ed in altri reati. Anche in questo caso, come nel precedente, sono soprattutto i minori nomadi ad essere coinvolti, spesso sotto la minaccia di percosse da parte dei propri genitori, tanto che, in più di un'occasione è stata prospettata la possibilità di una vera e propria riduzione in schiavitù.
Una forte preoccupazione desta anche il coinvolgimento dei minori stranieri nello spaccio di stupefacenti, fenomeno abbastanza recente ma che, soprattutto in alcune città come Torino e Genova ha assunto dimensioni inquietanti.
Si tratta in genere di minori nord-africani, presenti in Italia senza permesso di soggiorno, a volte entrati clandestinamente, ma spesso affidati dai genitori a parenti o ad amici di famiglia che vivono in Italia. L'inserimento nel racket dello spaccio avviene in genere attraverso altri connazionali che utilizzano i minori per fare da corrieri, ma sarebbe estremamente utile verificare quanti siano i minori stranieri che sono divenuti tossicodipendenti. Anche in questo caso, anche quando vengono colti in flagrante, è difficile trovare una soluzione adeguata: numerose sono le difficoltà nell'attuare il provvedimento di espulsione, sia per quanto recentemente stabilito dal T.U. delle leggi sull'immigrazione, sia per la mancata attestazione della cittadinanza (in genere i minori non posseggono documenti di identificazione ed è difficile che le ambasciate collaborino in operazioni di rimpatrio); i minori quasi sempre rifiutano di rientrare spontaneamente nel Paese di provenienza. Anche l'inserimento dei minori in istituto è tutt'altro che semplice, per le carenze di strutture adeguate e per l'ostilità dei minori ad adattarsi alla vita in istituto.
Un ultimo tipo di sfruttamento riguarda la prostituzione di minorenni straniere .
Nel mondo la forma più comune ed estesa di traffico di minori è, infatti, quella che ha lo scopo di sfruttarli a fini sessuali o commerciali legati alla prostituzione. Organizzazioni criminali dedite alla prostituzione minorile, al turismo sessuale, alla produzione di materiale pornografico attraverso lo sfruttamento dei giovani e dei giovanissimi sono presenti in diverse zone del pianeta.
Contro lo sfruttamento sessuale dei minori, la Risoluzione della Commissione ONU dei diritti umani n. 1992/'72 e la stessa Convenzione internazionale sui diritti del bambino del 1989, ratificata in Italia con la Legge 176/'91, impegnano gli Stati aderenti a proteggere il fanciullo contro ogni forma di sfruttamento sessuale. A tal fine, gli Stati adottano in particolare ogni adeguata misura a livello internazionale, bilaterale e multilaterale per impedire:
• che dei fanciulli siano incitati o costretti a dedicarsi ad una attività sessuale illegale;
• che dei fanciulli siano sfruttati a fini di prostituzione o di altre pratiche sessuali illegali;
• che dei fanciulli siano sfruttati ai fini della produzione di spettacoli o di materiale a carattere pornografico (allo stesso tema sono dedicati anche gli art. 35 e 36).
In Italia, sono diversi gli articoli del codice penale che tutelano i minori contro forme di sfruttamento e di violenza sessuale: la Legge 15 febbraio 1996, nr. 66, che introduce specifiche aggravanti per le violenze sessuali a danno dei minori; la Legge 3 agosto 1998, nr. 269, che introduce norme contro lo sfruttamento della prostituzione, della pornografia, del turismo sessuale in danno di minori, prevedendo nuove forme di riduzione in schiavitù; il T.U. 286/98 che ha contemplato delle aggravanti per coloro che favoriscono l'ingresso nel Paese di minori stranieri da destinare alla prostituzione.
Lo sfruttamento sessuale dei minori nel nostro Paese è fenomeno abbastanza recente, e vede coinvolte soprattutto minorenni provenienti da Paesi dell'Est, in particolare dall'Albania, dall'ex Jugoslavia, dalla Romania, dalla Repubblica Ceca.
È possibile stimare la loro presenza in diverse centinaia di minorenni, sebbene è un dato in costante crescita. Anche se mancano riscontri oggettivi circa l'esistenza di una qualche organizzazione criminale strutturata ed interamente dedita al traffico e/o alla tratta dei minori a scopo sessuale, si è, tuttavia, resa evidente in varie occasioni la diffusa presenza sul territorio italiano di alcuni giri di prostituzione che afferiscono a gruppi di immigrati che si servono, fra l'altro e sempre più spesso, di minorenni da avviare in questa attività . L'attenzione, in particolare, va rivolta non solo alla prostituzione minorile in sé, che in Italia sembra avere un'incidenza relativamente bassa, quanto allo sfruttamento dei minori nei circuiti telematici della pedofilia e nella pornografia cartacea e/o visiva, attività, queste, spesso prodromiche alla stessa prostituzione.
Una volta in Italia, la minorenne viene obbligata, attraverso percosse, segregazione e stupri, a prostituirsi sui marciapiedi o anche in locali notturni. Recenti indagini hanno evidenziato che spesso le prostitute straniere minorenni sono "affittate" o "vendute" ad altri gruppi di sfruttatori, anche italiani, o ad altre organizzazioni che gestiscono il racket in altri Paesi europei (Germania, Francia). Anche in questo caso è estremamente difficile trovare soluzioni, sebbene siano ormai diversi i centri realizzati dal volontariato ma anche dagli enti locali, che aiutano queste ragazze, offrendogli ospitalità, assistendole nella denuncia degli sfruttatori (che tra l'altro permette alla minorenne di usufruire di un permesso di soggiorno per motivi giudiziari) e, se possibile, a rientrare in patria. Tuttavia, un dato che dovrebbe destare preoccupazione è la formazione di organizzazioni di sfruttatori in cui sono coinvolti anche minori. Questo fenomeno è stato spesso registrato nella prostituzione, ma inizia ad interessare anche altri settori di sfruttamento minorile. Non sono confermate, invece, le illazioni su un presunto traffico di minori da utilizzare nel commercio clandestino di organi umani, né, tantomeno, un traffico finalizzato alle adozioni illegali.

 
CONCLUSIONE

In questi ultimi anni, l'Italia è stata meta di processi migratori di natura difforme, che hanno selezionato persone con caratteristiche e motivazioni assai diverse.
Ai numerosissimi immigrati venuti per trovare lavoro se ne sono aggiunti altri in cerca di esperienze nuove ed eccitanti, di avventure, di occasioni di rapido arricchimento e, dunque, con una propensione per il rischio ed una disponibilità a violare la legge molto maggiori. Alcuni di questi appartengono a potenti organizzazioni criminali internazionali. Altri fanno parte di gruppi piccoli e coesi che vengono in Italia con l'unico fine di svolgere attività illecite assai remunerative. Altri, ancora, si muovono all'interno di reti informali.
Il problema è che accanto a queste reti informali, sono andate stabilizzandosi le cosiddette "reti viziose" dell'immigrazione clandestina.
L'immigrazione clandestina è diventata, infatti, un significativo business per la criminalità organizzata.
Queste, grazie ad una capace opera di ricerca e di individuazione delle aree economicamente depresse, sono riuscite a rendere altamente remunerativo il trasferimento di consistenti masse di persone, spinte dalla necessità della sopravvivenza, verso i Paesi ad economia avanzata.
Hanno esteso la loro attività oltre il trasporto illegale ed hanno orientato la destinazione dei soggetti attraverso forme diversificate di pubblicità illusoria. In più, sottoponendo questi individui a condizioni di vita più disagiate di quelle che li hanno costretti ad affrontare i rischi dell'immigrazione illegale, la criminalità organizzata è riuscita ad instaurare un rapporto di perenne dipendenza, che sfocia, sovente, in vere e proprie forme di schiavitù.
I livelli e le modalità di sfruttamento sono vari e diversi, ma tutti accomunati dalle diverse pratiche costrittive che vanno dal ricatto psicologico alla minaccia violenta e, spesso, il dazio da pagare a chi sfrutta non è solo economico ma anche fisico, sessuale, psicologico.
L'asservimento a queste compagini delinquenziali è, per taluni soggetti passivi del traffico, totale ed incondizionato, fino all'estinzione del debito contratto, rappresentato dal prezzo corrisposto per i "servizi" e le "assistenze" di cui hanno usufruito.
Va da sé che, proprio a causa delle condizioni di clandestinità, le vittime di questo traffico andranno ad occupare, nel Paese di destinazione, posizioni "marginali", caratterizzate dalla precarietà, dall'emarginazione sociale, dal degrado ambientale in cui, con estrema probabilità, saranno costretti a vivere.
È come se, lo sfruttamento venisse legittimato dagli stessi sfruttati e questo dimostra il fallimento della legislazione italiana in materia.
In questo ambito, infatti, non è sufficiente un’adeguata azione di contrasto da parte delle Forze dell’Ordine. Sebbene sia elevato il valore di deterrenza che hanno la repressione investigativa e i controlli di frontiera, è un altro tipo di approccio che può incidere in maniera significativa sui problemi legati all’immigrazione irregolare:
• Si rende necessario, in quanto fenomeno legato a processi di globalizzazione, una strategia di intervento il più possibile integrata tra gli stati interessati.
• Risultano necessarie apposite politiche di welfare che mirino all’integrazione sociale e a ridurre gli effetti di criminalità e di devianza che, spesso, un’immigrazione disordinata ed illegale produce.
 Occorre incentivare gli effetti positivi della migrazione legale offrendo ai lavoratori stranieri la possibilità di trovare lavoro in maniera più sicura e meno costosa, assicurando loro, nel Paese di destinazione, il rispetto dei diritti umani e del lavoro.

 

 

Articolo scritto il 06/03/2013
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