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Annullamento pericolosità sociale è obiettivo della esecuzione penale non il presupposto

Annullamento pericolosità sociale è obiettivo della esecuzione penale non il presupposto

L’ANNULLAMENTO DELLA PERICOLOSITA’ SOCIALE E’ L’OBIETTIVO DEL PROCEDIMENTO DI ESECUZIONE  NON IL PRESUPPOSTO.

1. Premessa. "La pericolosità”, il totem impalpabile che impedisce la flessibilità della esecuzione penale.

Il procedimento di esecuzione penale non prevede il carcere come pena esclusiva.
La legge sull’ordinamento penitenziario prevede, sin dal 1975, un ventaglio di misure alternative alla detenzione, e la c.d. riforma Cartabia oggi, con la Legge n. 150/2022 ha previsto nuove possibilità di accesso  ai benefici (attraverso gli istituti della detenzione domiciliare, dei lavori di pubblica utilità, della pena pecuniaria, della giustizia riparativa)  sin dal momento della celebrazione del processo di cognizione.
A fronte di questa apertura verso una esecuzione penale diversa dal carcere e comunque più flessibile vi sono degli ostacoli imperituri preposti a negare quello che  in prima battuta sembra essere concesso o concedibile.
Il primo di questi ostacoli è la "ostatività”  insediatasi in maniera perdurante nell’ambito della esecuzione penale attraverso la previsione dell’art. 4 bis della Legge n. 354/1975  che nega la possibilità di accesso ai benefici per tutta una serie di reati o pone delle condizioni particolari e severe per chi ha commesso determinati reati e vuole ottenere permessi o misura alternative alla detenzione.
Come se alcuni condannati fossero diversi dagli altri e quindi il principio della rieducazione della pena, conclamato nell’art. 27 della Costituzione, e che si ottiene con una pena flessibile, possa essere applicato a taluni e negato ad altri.
Il secondo ostacolo è la "pericolosità” ossia la possibilità che il condannato, se destinatario di una misura diversa dal carcere e quindi meno afflittiva, possa tornare a commettere altri reati.
La pericolosità, per la persona ristretta in carcere,  si valuta tenendo conto della gravità del reato, del comportamento successivo al reato, della partecipazione all’opera di rieducazione, dell’adesione ad attività trattamentali, delle prospettive di reinserimento sociale una volta tornato alla vita libera o nel caso di concessione di benefici.
Quindi, pur in presenza di un reato "non ostativo” occorrerà confrontarsi con il totem della "pericolosità sociale” facile strumento nelle mani di chi non vuole correre rischi e concedere "aperture di credito” al condannato per paura di rimanere deluso e subire le critiche , sempre pronte, di persone offese e di opinioni pubbliche.
Ergo, spesso i Tribunali di Sorveglianza spesso utilizzano indefinitamente il criterio della "pericolosità sociale” per negare un miglioramento, per il condannato, nella fase della esecuzione della pena.


2.La inaccettabile valutazione della "pericolosità” ancorata ad elementi del passato .

E’ facile leggere nelle ordinanze di rigetto di Magistrati di Sorveglianza o dei Tribunale di Sorveglianza, contenenti il diniego di una misura alternativa, frasi del tipo "la gravità del reato e l’intensità del dolo confermano il giudizio di pericolosità del condannato”, oppure "la presenza nel certificato penale di altri precedenti penali confermano il giudizio di pericolosità” o ancora "la mancanza di revisione critica del passato  impedisce di ritenere non più sussistente la pericolosità sociale”.
Certo, la gravità del fatto è un elemento importante di cui il Magistrato deve tenere conto, ma spesso motivazioni di rigetto si riducono solo a "quella valutazione” e non a quanto di positivo emerge dal comportamento del detenuto e quindi frasi come quelle riportate finiscono per essere meri esercizi i stile, stereotipi buoni per respingere le istanze difensive e per applicare correttamente uno dei principi cardine della esecuzione penale ossia la "flessibilità del trattamento”.
Concedere cioè al detenuto la  possibilità di migliorare la sua condizioni consentendogli  un nuovo e diverso approccio, sebbene parziale  e controllato, con il mondo esterno al "di fuori delle mura”.
Approccio, naturalmente, che costituisce una base di verifica della bontà del trattamento e della evoluzione della personalità del condannato.

3. La Giurisprudenza di legittimità. La sentenza 323 del 2024 della I sezione penale della Cassazione.

La Giurisprudenza di legittimità appare più ferma nel confermare determinati principi sopra enunciati, ed è attenta, se investita della questione, a ribadire che la gravità del fatto non può essere il solo elemento, cui ancorare il giudizio  prognostico di "pericolosità sociale”.
Già Cass. sez. I , n. 31240 del 5/05/2015 aveva stabilito che  "ai fini della concessione di una misura alternativa alla detenzione, pur non potendosi prescindere dalla natura e dalla gravità  dei reati per cui è stata irrogata la pena in espiazione,quale punto di partenza dell’analisi della personalità del soggetto, è tuttavia necessaria la valutazione della condotta successivamente serbata dal condannato, essendo indispensabile l’esame anche dei comportamenti attuali del medesimo, attesa l’esigenza di accertare non solo l’assenza di indicazioni negative, ma anche la presenza di elementi positivi che consentano un giudizio prognostico di buon esito della prova e di prevenzione del pericolo di recidiva”.
Ancor più di recente, la sentenza è stata depositata il 4.01.2024 la  I sezione penale, con decisione n. 373/2024 ha ribadito tale concetto annullando una ordinanza del Tribunale di Sorveglianza di Roma che aveva rigettato la richiesta di affidamento sociale motivando il diniego, per l’appunto, facendo esclusivo riferimento alla gravità del reato e non ad un vaglio complessivo della sua personalità , del percorso rieducativo intrapreso dopo l’inizio della esecuzione della pena e delle prospettive lavorative dello stesso, ben rappresentate dal difensore attraverso una dichiarazione di disponibilità allo svolgimento di una attività lavorativa. 
La Corte ha annullato la ordinanza impugnata con rinvio al Tribunale di Sorveglianza competente prescrivendo che vengano esaminati "analiticamente” gli elementi introdotti nell’interesse del ricorrente e che il Giudice di merito dia conto, in motivazione, delle prospettive di reinserimento sociale connesse da tali elementi.
Ancora una stroncatura, quindi, per la pericolosità sociale emergente dal solo passato delinquenziale del condannato. Contano anche il presente e le prospettive di rinascita personale e sociale. 
Ma il merito di questa decisione è quello di aver ribadito ed espresso un concetto fondamentale emergente da una interpretazione sistematica delle norme dell’ esecuzione penale, dell’ordinamento penitenziario, alla luce del basilare precetto costituzionale contenuto nell’art. 27 della Carta. 

4. Eliminare la pericolosità sociale è l’obbiettivo del procedimento di esecuzione .

La sentenza 373/2024 lo dice chiaramente: "le misure alternative alla detenzione non presuppongono una completa emenda e una totale esclusione della pericolosità sociale, che, invece, costituiscono l’obiettivo del processo di rieducazione”.
La Cassazione ribadisce la finalità rieducativa del trattamento sanzionatorio e la necessità che al condannato venga riservato un trattamento penitenziario "personalizzato” come Costituzione e ordinamento penitenziario impongono.
E spiega che non si può valutare l’applicazione di misure alternative al carcere ritenendo di concederle soltanto quando "la pericolosità sociale” è completamente esclusa, in quanto questo è l’obiettivo finale del processo rieducativo, e quindi non può essere un presupposto preteso "in itinere”, nel momento in cui il condannato in carcere  chiede di accedere alle misure alternative.
In quest’ultimo caso, quindi, anche se la pericolosità sociale, non può dirsi totalmente esclusa, è doveroso  valutare gli elementi positivi emergenti dal comportamento del richiedente, dalla evoluzione della sua personalità e dalle prospettive di un rientro in società con abbandono dei percorsi delinquenziali.
Tale concetto esalta il principio della "progressività del trattamento penitenziario”, rafforza la necessità di una pena carceraria che non si riduca ad ozio e chiusura ma preveda attività, colloqui e costanti contatti con l’esterno, ribadisce la necessità di aiutare il condannato nel percorrere la strada del reinserimento.
E soprattutto relega nell'angolino questo totem che a volte appare tragicamente "immanente”, quello della pericolosità  sociale ossia del passato (delinquenziale) che riappare.
Anche dopo il delitto più grave, l 'uomo può riprendere un cammino che cancelli il passato.
E non gli si può togliere la speranza. 

 6 gennaio 2024                                                     Avv. Filippo Castellaneta 

Articolo scritto da: avv. Filippo Castellaneta il 06/01/2024
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