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Diffamazione a mezzo social networks e pena detentiva

Diffamazione a mezzo social networks e pena detentiva

Condanna per il reato di diffamazione connesso ai social networks: la pena detentiva è legittima solo nel caso in cui vengano lesi gravemente altri diritti fondamentali.

L’IRROGAZIONE DI UNA PENA DETENTIVA PER IL REATO DI DIFFAMAZIONE CONNESSO AI SOCIAL NETWORKS, ANCHE SE NON COMMESSO NELL’AMBITO DELL’ATTIVITÀ GIORNALISTICA, È COMPATIBILE CON LA LIBERTÀ DI ESPRESSIONE DI CUI ALL’ART. 10 CEDU SOLO IN CIRCOSTANZE ECCEZIONALI, QUALORA SIANO STATI LESI GRAVEMENTE ALTRI DIRITTI FONDAMENTALI

1. La CEDU sulla possibilità di irrogare la pena detentiva in ipotesi di diffamazione commessa nell’ambito dell’attività giornalistica.

La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo si è da tempo espressa nel ritenere che in caso di reati commessi mediante l’utilizzo di mezzi di comunicazione, l’irrogazione di una pena detentiva, anche se sospesa, risulta compatibile con il principio di libertà di espressione dei giornalisti garantito dall’art. 10 CEDU, soltanto in circostanze eccezionali, ossia qualora vengano lesi gravemente altri diritti fondamentali, in caso ad esempio di discorsi di odio o di istigazione alla violenza.
Al di fuori di tali ipotesi, invece, la pena detentiva risulta del tutto sproporzionata e sortisce un effetto dissuasivo, il cosiddetto "chillingeffect”, nei confronti del giornalista nell’esercizio della libertà di espressione preservato appunto dall’art. 10 CEDU.
Anche la dottrina e la giurisprudenza italiana si sono interrogate sul problema della proporzionalità del trattamento sanzionatorio nell’ipotesi della diffamazione a mezzo stampa o telematica e della compatibilità della previsione della pena detentiva con l’art. 10 CEDU.
Proprio a seguito di recenti pronunce della Corte EDU che hanno ribadito l’applicabilità della pena detentiva per questo tipo di reati solo in presenza di una lesione grave di altri diritti fondamentali, la nostra giurisprudenza di merito ha sollevato, con due ordinanze, questione di legittimità costituzionale nei confronti degli artt. 595, co. 3 c.p. e 13, l.n. 47/1948(diffamazione a mezzo stampa) in relazione all’art. 117 Cost. e art. 10 CEDU.
La Corte Costituzionale ha demandato al legislatore il compito di disegnare, entro un anno, una nuova disciplina in grado di bilanciare in maniera più adeguata il diritto alla libertà di cronaca e di critica dei giornalisti con la tutela della reputazione individuale, sancendo, sulla scorta di quanto affermato dalla giurisprudenza della Corte EDU, che sarà il giudice penale a decidere se applicare il carcere ma solo nei casi di eccezionale gravità del fatto.
Ed infatti, proprio in base alla decisione assunta dalla Corte Costituzionale, la Corte di Cassazione Sezione V con la sentenza n. 26509 del 09.07.2020 ha asserito che "in tema di diffamazione a mezzo stampa, spetta al giudice di merito accertare la ricorrenza dell’eccezionale gravità della condotta diffamatoria attributiva di un fatto determinato – che implichi una istigazione alla violenza ovvero convogli messaggi d’odio-, che, secondo un’interpretazione costituzionalmente e convenzionalmente orientata, sola giustifica l’applicazione della pena detentiva”.

2. La Suprema Corte di Cassazione sulla questione della sproporzionalità della pena detentiva anche nei casi di condanna per diffamazione connessa ai social networks, ma al di fuori dell’attività giornalistica.

La Corte di Cassazione Sezione V penale con la sentenza n. 13993/21 del 17 febbraio 2021 depositata in data 14 aprile 2021 ha recentemente affrontato la questione se la pena detentiva debba ritenersi sproporzionata anche nei casi di condanna per diffamazione commessa non con il mezzo della stampa, o comunque non nell’esercizio dell’attività giornalistica e del connesso diritto di cronaca e di critica, ma con l’utilizzo dei social networks.
La Suprema Corte nella sentenza de quo ha rilevato che anche la Corte Costituzionale si è espressa a favore della necessità di trovare un bilanciamento tra la libertà di manifestazione del pensiero e la tutela della reputazione che tenga conto anche "della rapida evoluzione della tecnologia e dei mezzi di comunicazione verificatasi negli ultimi decenni” e degli "effetti di rapidissima e duratura amplificazione degli addebiti diffamatori determinata dai social networks e dai motori di ricerca in internet”.
Sulla scorta di tale assunto, la Suprema Corte ha ritenuto che l’irrogazione di una pena detentiva, ancorchè sospesa, per il reato di diffamazione connesso ai mezzi di comunicazione, anche se non commesso nell’ambito dell’attività giornalistica, possa essere compatibile con la libertà di espressione garantita dall’art. 10 CEDU soltanto in circostanze eccezionali, qualora siano stati lesi gravemente altri diritti fondamentali, come in caso di discorsi di odio o di istigazione alla violenza.
La Suprema Corte ha sottolineato, inoltre, che sotto il profilo costituzionale, escludere la pena detentiva (purchè non sussista la lesione grave di altri diritti fondamentali) alle sole ipotesi di diffamazione a mezzo stampa, rischia di compromettere il principio di uguaglianza nei confronti di tutti i cittadini nonché il principio di ragionevolezza, prevedendo un  trattamento sanzionatorio sfavorevole (ossia l’irrogazione della pena detentiva) per fatti caratterizzati da una minore gravità e diffusività rispetto a quelli commessi nell’ambito dell’attività giornalistica. 

3. Conclusioni.
In questa importante pronuncia la Corte di Cassazione, quindi, tenendo conto dei principi enunciati dalla giurisprudenza della Corte Europea e della Corte Costituzionale, ha di fatto stabilito che l’irrogazione di una pena detentiva è possibile solo nel caso in cui la condotta diffamatoria sia connotata da lesione grave di altri diritti fondamentali, e questo avviene sia quando la condotta venga posta in essere nell’ambito dell’attività giornalistica sia quando tale condotta venga commessa al di fuori di tale attività, ma sempre tramite l’utilizzo di mezzi di comunicazione, quali i social networks. 

Avv. Rosanna De Canio

Articolo scritto da: avv Rosanna De canio il 01/08/2021
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