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Revisione: non è prova nuova quella già implicitamente valutata nel merito

Revisione: non è prova nuova quella già implicitamente valutata nel merito

La Corte di Cassazione -sez. I 7/04/21 n. 13057- non ritiene "prova nuova” quella già "implicitamente valutata” ovvero "oggetto di travisamento e non impugnata in sede di legittimità”.

"LA VALUTAZIONE PRELIMINARE DELLA ISTANZA EX ART. 630 COMMA 1 LETTERA C) RITIENE QUEST’ULTIMA NON FONDATA SU PROVE NUOVE E DIRIMENTI PERCHÉ GIÀ RITENUTE NON DECISIVE, CON MOTIVAZIONE IMPLICITA, DAI GIUDICI DEL MERITO O PERCHE’, SEBBENE ERRONEAMENTE NON VALUTATE, NON SONO STATE OGGETTO DI IMPUGNAZIONE EX ART. 606 LETT. E) PER TRAVISAMENTO DELLA PROVA ”.


1. La revisione penale. Quando è possibile.

La revisione penale è un mezzo di impugnazione, straordinario, estensivo, non devolutivo e non sospensivo.

In continuità con i codici di rito previgenti, il legislatore del 1988 ha individuato all’art. 630 c.p.p. i casi in cui è ammessa la domanda di revisione: 
a) se i fatti stabiliti a fondamento della sentenza o del decreto penale di condanna non possono conciliarsi con quelli stabiliti in un’altra sentenza penale irrevocabile del giudice ordinario o di un giudice speciale; 
b) se la sentenza o il decreto penale di condanna hanno ritenuto la sussistenza del reato a carico del condannato in conseguenza di una sentenza del giudice civile o amministrativo, successivamente revocata, che abbia deciso una delle questioni pregiudiziali previste dall’art. 3 c.p.p. ovvero una delle questioni previste dall’art. 479 c.p.p.; 
c) se dopo la condanna sono sopravvenute o si scoprono nuove prove, che sole o unite a quelle già valutate, dimostrano che il condannato deve essere prosciolto a norma dell’art. 631 c.p.p.; 
d) se è dimostrato che la condanna venne pronunciata in conseguenza di falsità in atti o in giudizio o di un altro fatto previsto dalla legge come reato.
La Corte costituzionale con la sentenza del 7 aprile 2001, n. 113 è intervenuta dichiarando l’art. 630 c.p.p. incostituzionale nella parte in cui non prevedeva «un diverso caso di revisione della sentenza o del decreto penale di condanna al fine di conseguire la riapertura del processo, quando ciò sia necessario, ai sensi dell’art. 46, par. 1 CEDU, per conformarsi ad una sentenza definitiva della Corte europea» e, pertanto, ha introdotto un nuovo caso di revisione, la c.d. revisione europea.
Competente a pronunciarsi sulla richiesta di revisione è la Corte di appello, individuata secondo i criteri  di cui all’art. 11 del c.p.p., ossia il distretto di Corte di Appello predeterminato per legge.
La predeterminazione per legge è contenuta nell’Allegato, Tabella A, in calce al D.Lvo 28 luglio 1989 n. 271 che contiene le norme di attuazione, di coordinamento e transitorie al codice di procedura penale. 


2. Le fasi del procedimento di revisione.

Il giudizio di revisione proponibile in ogni tempo, prende avvio a norma dell’art. 632 c.p.p. su iniziativa del condannato ovvero del prossimo congiunto o dell’erede (in caso di morte del condannato) ovvero da parte del procuratore generale presso la corte d’appello(nella cui circoscrizione fu pronunciata la condanna) mediante il deposito della domanda, contente l’indicazione specifica delle ragioni e delle prove che la giustificano, presso la corte d’appello competente.
Il giudizio è costituito da due fasi: una di delibazione dell’ammissibilità dell’istanza e una di merito. 
La fase preliminare è deputata all’accertamento circa la sussistenza delle condizioni per la corretta instaurazione del giudizio di revisione, difatti la corte d’appello, in camera di consiglio, svolge una valutazione sommaria delle prove, con limitati poteri, al fine di verificare se gli elementi addotti siano astrattamente idonei a ribaltare il giudizio precedente e condurre ad una pronuncia di proscioglimento. 
Salvo che la corte d’appello dichiari con ordinanza l’infondatezza dell’istanza (ricorribile per cassazione), a norma dell’art. 636 c.p.p. prenderà avvio la fase di merito che terminerà con l’accoglimento o il rigetto della richiesta di revisione.

3. Il caso di specie: la difesa cerca di demolire un assunto accusatorio ossia la ritenuta  presenza del condannato in bagno (e quindi in casa) dopo l’omicidio. 

Nel corso della valutazione di ammissibilità della richiesta sono preclusi alla  Corte territoriale penetranti apprezzamenti nel merito delle questioni sollevate, destinati, invece ad essere vagliati nelle fasi successive.
L’ammissibilità della richiesta è subordinata ad un giudizio di idoneità delle "prove nuove” ad operare un effetto demolitorio del giudicato penale.
La recentissima sentenza n. 13057/2021 della Cassazione, prima sezione Penale, pronunciatasi a seguito del ricorso proposto da una persona condannata per un caso di gran clamore mediatico, il c.d. omicidio di "Garlasco”, ha sottolineato, in maniera troppo severa a parere di chi scrive,  confermando il giudizio di "inammissibilità” della Corte di Appello di Brescia che "i temi probatori attinti dalle prove nuove erano state oggetto di amplissima discussione ed approfondimento nel corso del giudizio”,sebbene la difesa aveva evidenziato dati ed elementi che smentivano una certa ricostruzione accusatoria
Pertanto, la Cassazione, con la sentenza citata, ha rigettato il ricorso proposto dal condannato, ritenendo di convalidare l’operato della Corte territoriale secondo il quale il giudizio di merito che aveva portato infine alla condanna dell’imputato, avesse già valutato, esplicitamente  o anche implicitamente, le circostanze addotte dalla difesa con la richiesta di revisione e pertanto le indicazioni effettuate in sede di revisione risultavano "già note” ai giudici di merito e quindi la prova indicata come "nuova” non aveva la capacità dimostrativa capace di ribaltare il giudizio di colpevolezza.
La richiesta di revisione in realtà era articolata in vari punti concentrici tra loro e su di esse si è soffermata diffusamente la Corte di Appello adita.
Il tema che qui ci occupa ossia della ritenuta  "valutazione implicita” da parte del giudice del merito di un  elemento di prova indicato nella istanza di revisione come "novità” rispetto al quadro probatorio già assunto, è il seguente.
a) La difesa voleva dimostrare che l’assassino sebbene fosse  entrato nel bagno della casa della vittima non si era lavato le mani atteso che nella sentenza di condanna veniva dato per acquisito il dato del lavaggio delle mani e dello stesso lavandino da parte dell’autore dell’omicidio;
b) Da una fotografia dei RIS intervenuti sul luogo del delitto  si desumeva la presenza di quattro formazioni pilifere sul lavandino, circostanza questa che escludeva che il lavandino fosse stato lavato;
c) La presenza di due impronte papillari, tra le tante presenti sul dispenser  del sapone per lavarsi le mani riconducibili all’imputato si giustificavano unicamente per la quotidiana presenza in casa della vittima da parte dell’imputato, e quindi non avevano valore indiziante.
d) La  Corte aveva dichiarato la inammissibilità della istanza giacchè l’elemento di prova indicato non rivestiva il carattere della "novità”.
e) La difesa aveva contestato questo assunto, ricorrendo in Cassazione e deducendo violazione di legge e vizio di motivazione in riferimento alla nozione di "prova nuova” che la Corte, sempre  a parere della difesa, aveva confuso con quella di "tema di prova”: il requisito della novità non doveva essere valutato con riferimento al tema di prova, ma agli elementi dimostrativi addotti come noviter  reperti ovvero noviter  producti.
f) La difesa aveva altresì asserito che in contrasto con l’insegnamento della Corte EDU e della Cassazione, la ordinanza aveva esclusola novità della prova desumendone la valutazione implicita dalla semplice "presenza in atti” mentre in effetti si trattava di elementi mai presi in esame da alcun giudice al fine di dimostrare il mancato lavaggio del dispenser in quanto i giudici avevano sempre dato per scontata la presenza esclusiva di una o due impronte nitide dell’imputato sul dispenser, mai valutando la esistenza di altre impronte neanche implicitamente. 
g) La presenza di altre impronte (che non è stato possibile codificare) e di "microcrosticine” sul dispenser  e la presenza di capelli del lavandino a parere della difesa dimostrava che l’autore dell’omicidio non si era lavato le mani in bagno, come sostenuto dai giudici di merito, e quindi nessuna rilevanza indiziante potevano avere le impronte dell’imputato rinvenute sul dispenser: i giudici di merito invece erano pervenuti alla condanna, nella piena consapevolezza che degli elementi evidenziati nella istanza di revisione, avevano ritenuto che la prova del fatto che l’imputato si fosse lavato le mani dopo il delitto e avesse lavato il despenser  e il lavandino si ricavasse dalla nitidezza della sua impronta, dal fatto che l’impronta era dell’anulare e si trovava in un punto dell’oggetto che tocca chi lo afferra (per lavarlo) e non chi lo usa per fare uscire sapone liquido, con conseguente valutazione di irrilevanza delle tracce delle impronte sottostanti.

4. La soluzione adottata dalla Corte di Cassazione nel caso di specie: la strenua difesa del giudicato attraverso la spiegazione della mancata motivazione operata dalla Corte di merito.

La Cassazione sezione I con sentenza n.13057 del 7/04/2021 ha innanzitutto ribadito che con riferimento al concetto di "prova nuova”, deve tenersi sempre presente l’assunto derivante da Cass. SS.UU n. 624 del 26/09/2001, secondo il quale prove nuove sono non solo quelle sopravvenute alla sentenza definitiva di condanna e quelle scoperte successivamente ad essa, ma anche quelle non acquisite nel precedente giudizio, ovvero acquisite, ma non valutate neanche implicitamente, purchè non si tratti di prove dichiarate inammissibili o ritenute  superflue dal Giudice, e indipendentemente dal fatto che l’omessa conoscenza da parte di quest’ultimo sia imputabile a comportamento processuale negligente o addirittura doloso del condannato.
In riferimento specifico alle tracce papillari ( diverse da quelle dell’imputato) e presenti sul dispenser, la Cassazione afferma che erano dati già conosciuti dai Giudici di merito né la consulenza tecnica smentiva quanto evidenziato dalla polizia giudiziaria e dai periti.
Quanto alla fotografia che ritraeva i capelli sul lavandino e quindi poteva far ritenere che in effetti il lavandino stesso "non era stato lavato” dall’autore del delitto, contrariamente a quanto sostenevano le sentenze di merito, la Corte riprende un passaggio della stessa richiesta di revisione laddove la difesa aveva scritto che "la presenza dei capelli nel lavandino è stata sempre indicata dalla difesa come elemento contrastante con il preteso lavaggio del lavandino in tutta la fase di rinvio” (dopo il primo giudizio della Cassazione)per affermare che lo stesso imputato era a conoscenza dl fatto che la Corte avesse implicitamente valutato la circostanza.
In forza del richiamo ad una affermazione difensiva, quindi la Corte di Cassazione  ritiene avvenuta  una valutazione "implicita” da parte dei giudici del merito, che, quindi, non avevano considerato  decisiva la presenza di quei capelli per ritenere non avvenuto il lavaggio del lavandino, dimostrato invece dall’assenza di sangue della vittima.
D’altro canto, la stessa sentenza afferma che il ricorrente sembra dedurre un travisamento delle prove da parte dei giudici: essi avrebbero erroneamente ritenuto, contrariamente alale circostanze di fatto già evidenziate, che sul dispenser fossero presenti solo due impronte digitali, vale a dire le due attribuibili con certezza all’imputato; fermo restando che le frasi tratte dalle varie sentenze riportate nel ricorso possono essere interpretate come riferite alle due uniche impronte  riconoscibili, che interessavano perché posizionate in un punto dell’oggetto assai significativo, la Corte evidenzia che nella nozione di "prove nuove” a norma dell’art. 630 comma 1 c.p.p. lett. c) ai fini dell’ammissibilità del ricorso non rientrano quelle esplicitamente valutate dal giudice di merito, anche se erroneamente per effetto di travisamento, potendo, in tal caso, essere proposti gli ordinari mezzi di impugnazione ( Cass. sez. III sentenza n. 34970 del 3/11/2020).
Sicchè la Corte di Cassazione sezione Prima  finisce con l’affermare che se la sentenza della Corte di Assise di Milano del 2014 viene letta come se avesse espressamente travisato le prove presenti in atti in relazione alle condizioni del dispenser e alla presenza su di esso di altre impronte non riconoscibili e di "microcrosticine” avendo la stessa affermato che, al contrario, nessun’altra traccia o impronta era presente, si deduce  un travisamento della prova (la perizia redatta su incarico del G.U.P.  ed i rilievi tecnici svolti in precedenza) che avrebbe dovuto essere denunciato ai sensi dell’art. 606 c.p.p. lettera e).

5. Conclusioni. 

La valutazione implicita e la mancata impugnazione per "travisamento del fatto” provocano la non ammissibilità della istanza di revisione.
La pronuncia, sebbene solo in punto di ammissibilità della istanza di revisione,  affronta un tema  complicato quanto ricorrente nei giudizi  di revisione: la valutazione della "novità” della prova.
In definitiva, le difese degli imputati devono ricercare elementi nuovi di prova, idonei a contrastare quanto emergente dagli atti ma cercando di evitare (anche!) l’indicazione di valutazioni di elementi di prova seppure emergenti, che i giudici di merito hanno ritenuto di superare perché "non rilevanti”,.
E se l’elemento in questione non è stato adeguatamente valutato occorre aver impugnato  in Cassazione per travisamento della prova.
La delimitazione del concetto operata dai Giudici di legittimità  è ben evidente e severa.
Chiedere che venga considerata "prova nuova” una consulenza che dia risalto ad elementi "trascurati” in motivazione dai giudici di merito non appare una richiesta che si discosti dal dato normativo previsto dall’art. 630 c.p.p. e da quella Giurisprudenza che ritiene che i dati mai presi in esame dai giudici di merito, debbano considerarsi  per l’appunto capaci di immettere nella valutazione elementi tali da far ritenere improbabile la ricostruzione accusatoria e quindi applicabile iìla regola di giudizio della condanna solo in presenza di certezza della prova "al di là di ogni ragionevole dubbio”.

Avv. Filippo Castellaneta  




Articolo scritto da: avv. Filippo Castellaneta il 26/12/2021
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