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Ingiusta detenzione e Misura di sicurezza. La Cassazione boccia sonoramente il MEF

Ingiusta detenzione e Misura di sicurezza. La Cassazione boccia sonoramente il MEF

Ingiusta detenzione per misura di sicurezza non applicabile: La Cassazione riconosce il diritto all’indennizzo, respinge il ricorso del MEF e lo condanna a spese e versamento a Cassa delle Ammende.

L’indennizzo per ingiusta detenzione in una casa lavoro è dovuto nella ipotesi in cui la misura di sicurezza, in radice, non poteva essere applicata, e nella misura prevista dai parametri applicabili alla detenzione in carcere. 

Le persone non sono numeri ma rappresentano individualità insopprimibili.


1. Focus. Errata applicazione della misura di sicurezza e Ingiusta detenzione.

La normativa in materia: l’articolo 222 del codice penale prevede come declama il titolo della norma il "ricovero in un manicomio giudiziario” e stabilisce che "nel caso di proscioglimento per infermità psichica, ovvero per intossicazione cronica da alcol sostanze super facenti, ovvero per sordomutismo è sempre ordinato il ricovero dell’imputato in un manicomio giudiziario per un tempo non inferiore a due anni, salvo che si tratti di contravvenzioni o di delitti colposi”.

L’art. 314 c.p.p. stabilisce che: "chi è stato prosciolto con sentenza irrevocabile perché il fatto non sussiste, per non aver commesso il fatto, perché il fatto non costituisce reato o non è previsto dalla legge come reato, ha diritto a un’equa riparazione per la custodia cautelare subita”

L’art. 312 c.p.p.  prevede che”nei casi previsti dalla legge, l’applicazione provvisoria delle misure di sicurezza è disposta dal Giudice”.

L’art. 313 ult. comma prevede che ”ai fini delle impugnazioni, la misura prevista dall’art. 312 è equiparata alla custodia cautelare”.

L’art. 660 c.p. punisce chi, "in un luogo pubblico o aperto al pubblico, ovvero col mezzo del telefono, per petulanza o altro biasimevole motivo, reca a taluno molestia”, il reo è punito a querela della persona offesa, con l’arresto fino a  sei mesi o con l’ammenda fino a € 516”

In forza del combinato disposto di queste disposizioni del codice penale e del codice di rito penale,   una persona condannata per il reato di cui all’articolo 660, ossia una contravvenzione, non poteva essere posta in misura di sicurezza. 


2 Il caso concreto.

Una persona condannata per il reato di cui all’art. 660 c.p. era stata ingiustamente sottoposta alla libertà vigilata prima e poi, per successivo disposto aggravamento alla misura di sicurezza della casa lavoro per anni 1, misura  poi rinnovata e mantenuta per 4 anni e 9 mesi.

Vale a dire un Giudice può in presenza di un ostacolo normativo aveva disposto la misura di sicurezza, che non poteva essere applicata e poi ne aveva anche disposto l’aggravamento in una casa lavoro.

In seguito questa persona era insorta contro questo provvedimento ingiusto e aveva chiesto alla Corte di appello competente il risarcimento da  ingiusta detenzione per aver trascorso un periodo di misura di sicurezza in una casa lavoro mentre non doveva affatto essere posto in misura di sicurezza per l’ostacolo normativo di cui abbiamo parlato prima.

La Corte di appello investita del procedimento ha stabilito che in effetti non poteva applicarsi la norma di cui al 222 c.p. e che quindi illegittimamente questa persona era stata trattenuta in una casa lavoro, equiparata a tutti gli effetti ad un carcere, in quanto le misure di sicurezza, tutte, non sono applicabili per un illecito contravvenzionali.

Quindi è stato liquidato l’indennizzo a favore del ricorrente nella misura di € 235,82 al giorno, in virtù del noto parametro aritmetico del rapporto tra tetto massimo dell’indennizzo ex articolo 315, comma due e termine massimo della custodia cautelare di cui al 304 espresso in giorni, naturalmente da moltiplicare per il numero di giorni di ingiusta detenzione subita, come hanno detto le SS.UU .24287 già dal 9 maggio 1000 2001.

In base al periodo trascorso in casa lavoro a questa persona è stato riconosciuto un indennizzo di poco superiore ad € 400.000,00. 


3. IL MEF, non la Procura, impugna.

A fronte a questo provvedimento che appare ispirato ai criteri di esatta interpretazione delle norme giuridiche, Il Ministero dell’economia, ossia il Ministero che deve liquidare materialmente la somma, ricorre per cassazione e ricorre ancora una volta per motivi di merito che attengono all’applicabilità della legge penale al caso concreto.

Il MEF con il ricorso si duole innanzitutto della violazione dell’art. 314 c.p., in quanto occorrerebbe verificare se le condotte poste in essere dalla persona da indennizzare "siano o meno riconducibili ad una tra le fattispecie ostative al riconoscimento dell’indennizzo per ingiusta detenzione”, chiedendo addirittura di valutare le condotte personali di quella persona e quasi giustificando, nel caso di specie, l’applicazione di una misura contra legem!

Ancora il MEF fa appello alle modifiche intervenute in materia  di misure di sicurezza negli ultimi anni, e che quindi poiché le stesse  erano state ampliate, in virtù delle legge n. 9 del 17 febbraio 2012 e n.81 del 30 maggio 2014, si doveva ritenere superata la distinzione tra delitti e contravvenzioni”!

Come è facile avvertire si tratta di censure per la verità abnormi che vorrebbero superare il disposto legislativo con argomentazioni davvero inaccettabili.

4. La posizione del Procuratore Generale in udienza.

Il Procuratore Generale nella requisitoria scritta, chiedeva invece di determinare diversamente la somma d liquidare  atteso che si trattava di misura di sicurezza e non di misura detentiva.
La determinazione della somma dell’indennizzo, a suo dire,  non poteva essere parametrata in € 235,82 giornaliere previste per la detenzione in carcere, giacchè non si trattava dell’applicazione della detenzione in carcere bensì della applicazione della libertà vigilata poi aggravata in casa lavoro


5. La decisione della Cassazione.

La corte di cassazione. IV sezione penale, con sentenza 13539/2025 dell’8 aprile 25 ha dichiarato infondati i motivi del ricorsi del MEF, in quanto a prescindere dal comportamento della persona detenuta sottoposta a misura di sicurezza e al fatto che la libertà vigilata fosse stata aggravata con una misura di sicurezza detentiva della casa e di lavoro, in radice non era proprio prevista l’applicazione, nel caso di specie, la misura stante il dviero imposto ai sensi dell’art. 222 c.p.p.

Pertanto, scrive la Cassazione, risulta privo di significato andare alla ricerca di una possibile causa sinergica addebitabile al destinatario, a fronte  di una misura vistosamente illegittima.

Vale a dire la Cassazione ha dovuto ribadire al Ministero delle finanze che in quel caso non poteva essere applicata la misura e quindi in quel caso, se non disapplicando la legge, poteva negarsi il diritto al risarcimento!

In conclusione, viste le motivazioni della Suprema Corte, siamo di fronte ad una richiesta del MEF non solo inammissibile ma sconvolgente e illegittima, nel vero senso della parola,  perché vorrebbe far riferimento alle condotte di una persona ossia al cosidetto  "tipo di autore” surclassando il disposto normativo.

La Corte, nella predetta sentenza,  ha avuto anche l’occasione per ribadire altresì che le Leggi cui aveva fatto riferimento il MEF, e che a suo parere avrebbe ampliato la possibilità di applicazione delle misure di sicurezza, in realtà ha attuato "un intervento legislativo maggiormente garantista e attento ad un’applicazione misurata e  di stretta necessità delle misure di sicurezza personali”.

La stessa richiamata pronuncia della Corte Costituzionale n.253/2003 rifuggendo dai precedenti automatismi previsti dalla legge, è vero che  ha introdotto la possibilità per il giudice di applicare la misura di sicurezza più idonea ad assicurare adeguate cure all’infermo di mente e far fronte alla sua pericolosità sociale, tuttavia non hanno inciso sui presupposti applicativi delle misure di sicurezza nei termini pretesi dal MEF.
 
In conclusione il ricorso del Ministero è stato respinto e dichiarato inammissibile.

La detta sentenza ha anche respinto le argomentazioni del Procuratore Generale, il quale chiedeva di determinarsi in maniera diversa l’indennizzo giornaliero, in quanto secondo lui non poteva essere rapportato il criterio previsto per la detenzione in carcere  alla detenzione in casa lavoro.

Anche su questo punto, la corte di cassazione respinto l’assunto del procuratore generale in primo luogo perché la stessa Corte di Appello territoriale di Roma aveva informato che la permanenza di quella persona dal 24 ottobre 16 al 20 giugno 21 presso la casa di Vasto è stata in condizioni di fatto detentive.

Inoltre, ha sottolineato la Cassazione, la persona richiedente ha fatto riferimento, per la determinazione dell’indennizzo,  solo al periodo trascorso presso la casa lavoro e non al precedente periodo trascorso in libertà vigilata.

La Suprema Corte ha ribadito che, trattandosi di una misura di sicurezza che in sostanza si equipara alla detenzione vera e propria,deve essere liquidato certamente l’indennizzo per ingiusta detenzione e deve essere  liquidato nei termini previsti dai parametri per la detenzione in carcere, paragonandosi la detenzione in una casa di lavoro alla detenzione in carcere .

6. Conclusioni importanti.

Bene ha fatto la Corte di cassazione a rimarcare ancora una volta questa  posizione ed ha  espresso a chiare lettere al MEF che non si può pretendere di non applicare le norme esistenti, e che gli indennizzi  per ingiusta detenzione vanno liquidati nella misura prevista anche in caso di applicazione di misura di sicurezza contenitiva!

E’ quindi corretto che la Corte di cassazione non solo ha respinto il ricorso perché "inammissibile”, ma anche condannato come è giusto che sia, visto che la corte di cassazione condanna sempre l’imputato ricorrente che abbia fatto dei motivi di ricorso inammissibili a una somma da devolvere alla Cassa delle Ammende ha condannato il Ministero dell’Economia a rifondere 3000 € alla cassa del realmente.

Segnale importante perché molte volte i ricorsi del MEF sono praticamente ispirati a una volontà conservatrice e non sono aderenti alle norme previste dell’ordinamento giuridico.
Conclusione importante: le persone detenute non sono numeri, ma volti e se detenute  ingiustamente sono volti che esprimono sofferenza., quella sofferenza va risarcita da chi ha errato a restringere la libertà da chi ha errato ad esercitare il potere punitivo.


 13 luglio 2025                                               Avv. Filippo Castellaneta 

Articolo scritto il 13/07/2025
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