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Criteri per la liquidazione del danno da Ingiusta detenzione. A cura della dott.ssa De Canio

Criteri per la liquidazione del danno da Ingiusta detenzione. A cura della  dott.ssa De Canio

INGIUSTA DETENZIONE: CALCOLO DEL "QUANTUM”. 


 Nella ipotesi di ammissibilità della richiesta risarcitoria si pone la questione di quantificare l’ammontare del danno dovuto.

 In tema di liquidazione dell'indennizzo previsto a titolo di riparazione per l'ingiusta detenzione (articolo 314 e ss. c.p.p.), la Cass. Pen. Sez. IV con sentenza 16 luglio- 5 novembre 2009, n. 42510, ha fatto proprio un orientamento ormai prevalente in base al quale il canone base per la liquidazione è costituito dal rapporto tra la somma massima posta a disposizione dal legislatore (€ 516.456,90), il termine di durata massima della custodia cautelare (di cui all'art 303, co. 4, c.p.p., espresso in giorni) e la durata dell'ingiusta detenzione patita nel caso concreto. 

 Tale criterio aritmetico di calcolo, rispetto al quale, in particolare, la somma che ne deriva (€ 235,82 per ciascun giorno di detenzione in carcere) può essere ragionevolmente dimezzata (€ 177,91) nel caso di detenzione domiciliare, attesa la sua minore afflittività, costituisce, però, solo una base utile per sottrarre la determinazione dell'indennizzo a un'eccessiva discrezionalità del giudice e garantire in modo razionale una uniformità di giudizio. Tale parametro aritmetico, infatti, costituisce uno standard che fa riferimento all'indennizzo in un'astratta situazione in cui diversi fattori di danno derivanti dall'ingiusta detenzione si siano concretizzati in modo medio e ordinario, per cui esso ben potrà subire delle variazioni verso l'alto o verso il basso in ragione di specifiche contingenze proprie del caso concreto.

 Occorrerà quindi esaminare i fattori documentati, afferenti alla personalità ed alla storia personale dell'imputato, al suo ruolo professionale e sociale, alle conseguenze pregiudizievoli concretamente subite e tutti gli altri di cui sia riscontrata la rilevanza e la connessione eziologia con l'ingiusta detenzione patita. E’ ragionevole, infatti ritenere che al giudice è chiesta una valutazione che pur equitativa, non può mai essere arbitraria, e quindi la Corte è tenuta a offrire una adeguata motivazione che dia conto, alla luce del materiale probatorio acquisito, delle ragioni per le quali si è distaccato dai parametri standard, con l'unico limite che il frutto della sua determinazione non può condurre allo sfondamento del tetto, normativamente fissato, dell'entità massima della liquidazione. 

 Questo principio è confermato da una serie di pronunce che pongono in rilievo come il calcolo dell’indennizzo non possa essere esclusivamente di natura aritmetica ma debba basarsi su ben altri fattori. 
In particolare, si citano le seguenti massime: 
 -"È inadeguata la liquidazione dell'indennità per la riparazione dell'ingiusta detenzione di breve durata, patita da soggetto incensurato, che si fondi esclusivamente sul mero ragguaglio tra i giorni di privazione della libertà e il parametro medio giornaliero, potendo quest'ultimo essere integrato mediante il ricorso a parametri sensibilmente superiori a quelli standard purché non si sfondi il tetto massimo della somma erogabile”. Corte di Cassazione, Sezione 4 penale, Sentenza 15 marzo 2012, n. 10123 -

"Non configura un danno biologico, autonomamente valutabile rispetto a quello derivante dallo stato di illegittima privazione della libertà personale, né il danno conseguente alla presunta equiparazione del periodo di detenzione ad uno stato di invalidità temporanea di pari durata, né quello derivante dall'impossibilità del condannato di esprimere la propria sessualità durante il medesimo periodo”. Corte di Cassazione, Sezione 3 penale, Sentenza 12 novembre 2010, n. 40094 -

"Nella liquidazione della somma per la riparazione dell'errore giudiziario, deve tenersi conto di «tutte le peculiari sfaccettature di cui il danno non patrimoniale si compone nella sua globalità, avendo in particolare riguardo all'interruzione delle attività lavorative e ricreative, dei rapporti affettivi e degli altri rapporti interpersonali, e al mutamento radicale, peggiorativo e non voluto, delle abitudini di vita». Si esclude che possa dar luogo a indennizzo l'esistenza di un danno conseguente a una irreversibile impotentia coeundi et generandi per essere la convivente dell'ingiustamente detenuto in fase di climaterio. Argomentazione drastica, tuttavia, che la sentenza tempera de facto alla luce della circostanza che la relazione tra il detenuto e il coniuge avrebbe avuto inizio dopo l'avvenuta detenzione del primo e non è stata offerta prova adeguata in senso contrario”. Corte di Cassazione, Sezione 3 penale, Sentenza 12 novembre 2010, n. 40094 

 -"L'impossibilità di avere rapporti sessuali con il partner e, di conseguenza, di generare dei figli, non può costituire una voce autonoma nel risarcimento per ingiusta detenzione. Va infatti esclusa, come preteso dalla difesa del ricorrente, la possibilità di considerare un danno "aggiuntivo" l'incapacità di procreare per il sopraggiunto climaterio della propria compagna. In linea generale, comunque, l'impossibilità di diventare padre è una conseguenza naturale della privazione della libertà. Va respinta peraltro anche la richiesta di equiparare, ai fini della quantificazione del danno biologico, la detenzione a uno stato di infermità totale temporanea, possibilità,questa, che ci sarebbe solo nel caso durante il periodo di detenzione sopraggiungesse una grave patologia”. Corte di Cassazione, Sezione 3 penale, Sentenza 12 novembre 2010, n. 40094 .

 La Giurisprudenza, quindi tende a personalizzare il danno ma vincola la liquidazione alla sussistenza di una prova diretta del pregiudizio subito. Tale prova può portare al riconoscimento di somme più elevate rispetto allo standard ma non si riscontrano pronunce che stabiliscano de plano il risarcimento dei danni conseguenti e collaterali alla privazione della libertà. 

Dott.ssa Rosanna De Canio

Articolo scritto da: Dott.ssa Rosanna De Canio il 02/02/2014
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